Gruppo di incontro “Perché scrivo?”

Perché scrivo? Chi frequenta Officina Letteraria sa che da questa domanda inizia il percorso di consapevolezza e di formazione dell’allievo/scrittore. Tanto che Officina stessa custodisce gelosamente le risposte, e l’alternanza e la riproposizione della risposta e della domanda ai singoli allievi vanno a costituire dei punti di passaggio nel percorso formativo. Il “Perché scrivo” quindi non è solo un simpatico tormentone, o un’etichetta dallo sfondo arancione, che introduce e promuove l’ immagine e l’attività di Officina Letteraria. Dietro a questa piccola domanda (solo due parole e un punto interrogativo) si ingarbuglia, dipana e articola una infinita varietà di scelte, bisogni, aspettative, competenze, capacità, emozioni, pensieri, azioni, memorie, punti di vista, moltiplicate per tutte le persone, differenti per età, vissuti, esperienze che si trovano a frequentare un luogo (in questo caso lo spazio di via Cairoli) accomunate dal desiderio di alimentare e far crescere e dare spazio all’esperienza della scrittura. Il gruppo di incontro Curiosamente anche per coltivare una pratica intima come la scrittura siamo istintivamente portati a cercare un luogo di formazione, non solo per apprendere, ma per condividere, perché nella specificità dell’aula l’esperienza del gruppo ha rimandi significativi per i singoli. Ma allora, mi viene da pensare, se questo spazio di confronto e condivisione ha una sua valenza può anche avere un suo luogo. Un suo orario. Un suo gruppo, che non ha bisogno dei criteri legittimi della formazione, ma nel quale si possono incontrare le persone che frequentano i corsi da anni, come i nuovi arrivati, chi frequenta i laboratori e chi il corso sul romanzo, chi ha già un libro nel cassetto e si è disegnato già la copertina, chi si sorprende ogni volta che gli esce una frase dalla penna. Chi sono? Mi chiamo Elisabetta Marasco, e sto proponendo un gruppo di incontro dal titolo “ Perché scrivo?”. Un gruppo dove incontreremo gli altri, e forse anche un po’ noi stessi. Punti di incontro, spunti creativi, punti critici, punti di vista. Sono un counselor a mediazione corporea e collaboro da un paio di anni con Officina Letteraria. Partendo dal lavoro delle Classi di esercizi di Bioenergetica, ho intrapreso un percorso di ricerca sul processo creativo come opportunità per muovere energie, porci in una migliore connessione con noi stessi, migliorando così la qualità di vita, per noi e in relazione con gli altri e di conseguenza con un impatto positivo sulla società, aspetto da non trascurare. Come partecipare ai gruppi di incontro La partecipazione al gruppo a tema “Perché scrivo?” è gratuita; unico pagamento richiesto è la quota associativa di 5€ all’associazione Officina Letteraria, che avrà validità fino al 30 settembre dell’anno in corso (quindi che varrà una volta per tutti gli incontri a cui si partecipa). Gli incontri si svolgeranno il martedì sera dalle 20:30 alle 22:30, e hanno bisogno di un numero minimo di 6 partecipanti. Occorre iscriversi entro una settimana dall’inizio. [button type=small link_url=”mailto:iscrizioni@officinaletteraria.com?Subject=Iscrizione Gruppo di incontro perché scrivo”] Prenota il tuo posto al prossimo incontro[/button] Per informazioni e quant’altro questo il mio numero 338 4478930. Io ci credo un sacco. Spero anche voi. Elisabetta Marasco

Loro chi? – I cinque finalisti

  Partendo dallo stesso incipit, regalato a Officina Letteraria da Marco Peano, 78 scrittori si sono cimentati in storie tutt’altro che simili. 78 racconti sviluppati in una forma brevissima (appena 2.000 caratteri), ognuno con lo stesso inizio, ma con un finale diverso e sorprendente. Sveliamo ora i cinque finalisti che potranno contendersi l’iscrizione gratuita al laboratorio di 1° livello “La grammatica delle storie”. La cinquina finalista del concorso “Loro chi?”   Questi sono gli autori e i racconti finalisti (in ordine alfabetico): Nicolella Clizia, Lo scatolone La Rosa Dimitri, Il cappello Profumo Giovanna, Gemelli nella notte Schenone Eva, Dietro la porta Scuto Regina, Il salotto accanto al letto   Sulla pagina Facebook di Officina Letteraria potete trovare i 5 racconti finalisti, che verranno ora sottoposti al giudizio del pubblico tramite un “Mi Piace”. Il racconto che avrà ricevuto più “Mi Piace” alle 12:00 del 24 settembre 2017, verrà giudicato vincitore. L’autore del racconto vincitore avrà diritto all’iscrizione gratuita al Laboratorio di scrittura di I livello “La Grammatica delle Storie”, che inizierà martedì 10 ottobre 2017. Gli altri 4 racconti finalisti avranno diritto al 15% di sconto sulla quota di iscrizione del laboratorio “La Grammatica delle Storie”. Grazie a tutti gli altri partecipanti, speriamo di rivedervi tra le pagine di Officina Letteraria, in altre occasioni! [button type=small link_url=”https://www.facebook.com/media/set/?set=a.1670055843056506.1073741846.254331254628979&type=1&l=b0d8e301ee”] VOTA IL TUO RACCONTO PREFERITO [/button]     Lo scatolone di Nicolella Clizia Si svegliò al rumore dei passi sulle scale. Il display del cellulare segnava le 4.30 del mattino. Qualcuno si sta avvicinando al suo appartamento le voci bisbiglianti appena trattenute. Non aveva dubbi erano loro. Loro chi? Se senti dei passi alla tua porta nel cuore della notte le possibilità non sono molte: o sono gli alieni, o sono i tuoi figli madidi di droga e di sesso, o sono gli amici per il compleanno. Ma non è il mio compleanno, almeno credo. La luce del cellulare si spense, per un attimo silenzio, quel rumore incollato alla porta. Riprese a respirare, riprese anche il tramestio cauto, indecifrabile. Non ho figli, potrei essere ancora io quello che torna a casa carico di droga e di sesso, o almeno una delle due. I figli, il sesso. Invece era venuto via da casa di Chiara seguendo una strada semplice, apri la porta, scendi le scale, mandi un messaggio dal contenuto infame, e via, è fatta: basta discussioni sull’amarsi, la casa la spesa il lavoro la biancheria, cosa conta davvero. Basta sindromi premestruali. Ma adesso in quel buio, alle 4:30 del mattino, con qualcuno alla porta, se non fosse stato solo sarebbe stato diverso. Se lei fosse stata lì sarebbe stato tutto diverso. Invece Chiara era sul pianerottolo. C’è tutto, gli disse facendo l’appello delle sue cose con fare svalutativo: vestiti, libri, cianfrusaglie, macchina fotografica, le nostre fotografie. Ma disse nostre al rallentatore, mentre gli consegnava il cane al guinzaglio. Aveva molto insistito per un figlio, ma adesso non avrebbe potuto recapitarglielo con la stessa disinvoltura, un figlio. E mentre Giscardo, il boxer, lo sbavava lui fu rianimato da quel millimetro di esitazione, mi ami ancora, dimmi che è vero. Un figlio, adesso. Poi però la sua esaltazione si estinse. Lo scatolone più grande, quello con il computer, fu appoggiato a terra da Rodolfo, il vicino di sotto, fisico nucleare, talento per la musica, umorismo sottile, sguardo bruciante. Voce un po’ tanto nasale, se vogliamo dire tutto. [button type=small link_url=”https://www.facebook.com/OfficinaLetteraria/photos/a.1670055843056506.1073741846.254331254628979/1670056126389811/?type=3&theater”] Vota il racconto di Clizia [/button]   Il cappello di Dimitri La Rosa Si svegliò al rumore dei passi sulle scale. Il display del cellulare segnava le 4:30 del mattino. Qualcuno si stava avvicinando al suo appartamento, le voci bisbiglianti appena trattenute. Non aveva dubbi: erano loro. Ed erano troppo vicini per poter pensare a qualcosa. Serviva tempo. Guardò tra le sbarre della finestra la strada buia. Lanciò due vasi che spaccandosi parvero spari. Lo scricchiolio leggero delle scale lasciò il posto ai tonfi pesanti della discesa frenetica. Aveva pochi minuti. Prese un coltello dalla cucina e cominciò a lanciare per terra i soprammobili, rovesciare sedie e tavoli, per tutta la casa fino ad arrivare al bagno, divenuto tempio della speranza. Si prese a pugni, si strappò i vestiti, diede una testata sulla vasca e si riempì di altri tagli lungo il corpo. Sudato, sporco, strappò la tendina della vasca e se la mise sulle spalle. Infine si trafisse la spalla e poi la gamba. Il sangue bagnava le piastrelle, mentre nascondeva tremante la lama nel sifone. Si inginocchiò proprio nel momento in cui una voce ovattata fuori dalla porta bisbigliava: mettiti quel cazzo di cappello ed entriamo. Prostrato davanti al cesso, infilò la testa nell’acqua, mentre pisciava sangue dalla spalla e attese. Poco. Un calcio sfondò la porta dell’appartamento. Due uomini entrarono. “No, cazzo!” “Cerchiamolo” I passi percorsero velocemente tutto lo spazio della casa. “L’hai trova…?” “Sono arrivati prima loro” alzando la tavoletta dalla sua testa. “E adesso chi lo dice al capo?” “Nessuno. Diciamo che non c’era,” richiudendola “andiamocene.” Aspettando che se ne fossero andati, pochi minuti dopo ritornò alla dignità. Si mise seduto e premendo con degli asciugamani le ferite pensò che doveva solo non morire dissanguato. Con mano inferma, si alzò appoggiandosi al bordo della vasca ed entrò in salotto, ora tempio della presa per il culo, in cui un uomo con la mano sulla maniglia, osservandolo, gli disse: “Ed io che credevo di aver dimenticato solo il cappello.” [button type=small link_url=”https://www.facebook.com/OfficinaLetteraria/photos/a.1670055843056506.1073741846.254331254628979/1670056243056466/?type=3&theater”] Leggi il racconto su Facebook [/button]   Gemelli nella notte di Giovanna Profumo Si svegliò al rumore dei passi sulle scale. Il display del cellulare segnava le 4:30 del mattino. Qualcuno si stava avvicinando al suo appartamento, le voci bisbiglianti appena trattenute. Non aveva dubbi: erano loro. Ferma tra le lenzuola sudate, era così attenta ai rumori da percepire il brusio prodotto dalla fila di formiche che, ne era certa, marciava tra il lavandino e il barattolo del miele. La sua guerra personale la vedeva sconfitta: loro tornavano sempre. Le voci ora erano lì e non sapeva se fingere di dormire o affrontarle. Soffocò un urlo contro

Loro chi? – Vinci un laboratorio di scrittura

Le storie sono la tua passione? Pensi di avere talento nella scrittura e vuoi migliorare la tua tecnica? Pensi di non averne, ma vorresti cimentarti con la grammatica della narrazione? La scuola di scrittura creativa Officina Letteraria lancia il concorso per vincere il Laboratorio di I livello “La Grammatica delle Storie”, tenuto dalla scrittrice Ester Armanino e arricchito da seminari specifici sul mondo della narrativa. “Loro chi?” – Il concorso Per poter provare a vincere il Laboratorio di scrittura di I livello, ti basta scrivere un racconto di 2.000 battute (spazi inclusi), partendo dall’incipit che ci è stato regalato dallo scrittore Marco Peano. L’incipit Ecco l’incipit da cui dovrai partire per scrivere il tuo racconto! Si svegliò al rumore dei passi sulle scale. Il display del cellulare segnava le 4:30 del mattino. Qualcuno si stava avvicinando al suo appartamento, le voci bisbiglianti appena trattenute. Non aveva dubbi: erano loro. Nota bene: il racconto dovrà includere l’incipit riportato di sopra, e l’incipit dovrà essere calcolato nel limite delle 2.000 battute (spazi inclusi). Come inviare il racconto Invia il tuo racconto (in formato .doc, .docx o .rtf) all’indirizzo laboratori@officinaletteraria.com, specificando nell’oggetto “Racconto per vincere il laboratorio di scrittura” e nel corpo della mail il vostro nome e cognome con la dicitura “Autorizzo Officina Letteraria a pubblicare sui suoi canali di comunicazione il racconto in allegato, di cui sono l’autore, nel caso in cui rientrasse tra i 5 finalisti”. Scadenze e date Il racconto va inviato via mail entro e non oltre le 24:00 del 10 settembre 2017; i racconti inviati oltre questo orario, non verranno presi in considerazione per il concorso. Martedì 12 settembre, in occasione dell’Open Day di Officina Letteraria, verranno annunciati 5 finalisti, selezionati dalla giuria composta dai maestri della scuola di scrittura. Finalisti I 5 racconti finalisti verranno pubblicati sulla pagina Facebook di Officina Letteraria, e su questo sito web. I racconti verranno giudicati dal pubblico tramite un “Mi Piace”. Il racconto che avrà ricevuto più “Mi Piace” alle 12:00 del 24 settembre 2017, verrà giudicato vincitore. L’autore del racconto vincitore avrà diritto all’iscrizione gratuita al Laboratorio di scrittura di I livello “La Grammatica delle Storie”, che inizierà martedì 10 ottobre 2017. Gli altri 4 racconti finalisti avranno diritto al 15% di sconto sulla quota di iscrizione del laboratorio “La Grammatica delle Storie”. Ora non vi resta che scrivere! [button type=small link_url=”mailto:laboratori@officinaletteraria.com?Subject=Invio racconto per concorso Loro Chi”] INVIA IL TUO RACCONTO [/button] Marco Peano è nato a Torino nel 1979. Si occupa di narrativa italiana per la casa editrice Einaudi. L’invenzione della madre (minimum fax 2015, premio Volponi Opera Prima, premio Libro dell’Anno di Fahrenheit) è il suo romanzo d’esordio.

“Eldorado” (2a parte) – Monologo per il Giorno della memoria

Paragrafo Centosettantacinque: La fornicazione contro natura, cioè tra persone di sesso maschile ovvero tra esseri umani ed animali, è punita con la reclusione. […] Eldorado di Camilla Tomiolo Quando è stata l’ultima volta? Due sere fa. E come è stato? Le luci sul palco, il semi buio intorno, euforia nelle gambe, paura nei polsi. E poi? Lo sai: prendi il respiro. Ti tuffi. È qui che ti voglio. Ci sei riuscito? Sì. Di nuovo. Sì! E che mi dici dei pezzi di faccia da gentleman che ti sei portato dietro? Li abbandoni pian piano. Un pezzo al guardaroba, un pezzo sotto a un tavolo, un altro pezzo sul bancone del bar. Qualche frammento microscopico sul vestito nero della folla. Tutto il trucco del mondo non basta mai. No, hai ragione. È un processo più fondo, quando cominci a dimenticarti che sono i tuoi gli occhi che guardano, allora sei libero: sei dentro la folla. Centinaia di persone che sudano, ballano, si baciano. Si spogliano. Scopano qua e là. Sì. È un’altra Legge lì dentro. Maschile femminile. Femminile maschile. (ride) Mostri! (pausa) Se potessi liberarmi di te senza perdere me stesso. Giusto e sbagliato. Bianco e nero. Verità assolute… (ride) Tradizione. Ciò che è sempre stato non può essere cambiato. Il pensiero si disfa di fronte alla realtà. La realtà è una e tu devi rispettarla. Tutto si trasforma. Questo non sono io. Io non sono te. L’unico peccato che ho mai commesso è di pensare di non sapere chi sono. Mi sono messo un paio di calze velate l’altra sera. Ero eccitato e nello stesso istante arrabbiato con me stesso. Nello stesso istante. L’eccitazione dal basso si espandeva, arrivava a sfiorare la rabbia che a quel punto non aspettava altro che scatenarsi contro di lei, ma, senza rendersene conto, tutto ciò che faceva era mescolare se stessa alla voglia: dare forza alla spinta. Le labbra le ho fatte di un rosso violento, troppo acceso per restare dov’era: nel cuore della notte mi è scivolato fuori dalla bocca, una strisciata che mi ha allargato il sorriso. (ride) O forse un livido. Un bacio senza amore. Un morso. Rosso innaturale diventerà viola. Non capisco perché lo fai. Cosa non capisci? Libertà o distruzione? (ride) Tu vuoi offenderci. (ride) Rispondi. Che cosa vuoi?! E tu? (pausa) Chi sei? Chi sei piccola voce che riempi le nostre teste? Da dove arrivi? Da quanto sei qui? (silenzio) Sei la morale? O sei la Legge? Di quale Dio? O sei solo un uomo, come me? Nemmeno. Tu sei un occhio impreparato che tenta di spiare l’universo da un buco di una serratura. Che cosa credi di vedere? (silenzio) Che cosa hai visto? Dillo! Che cosa credi di avere visto?! (silenzio) Non tutto ciò che non conosci è sbagliato, sai? Forse è perfino il contrario! Ci hai mai pensato? Eh?! Che cosa senti? Rabbia? Sì! Vorresti infilare tutto questo fango di nuovo dentro al secchio! Sì! (pausa) Io ho questo senso sulla lingua, che non è il senso comune, è la colpa. Io ho fame. E non posso farci niente. La mia anima c’è, e c’è, e c’è. Riesci a capirlo? Forse mi sono innamorato. Guarda come ti sei ridotto. Mi sono innamorato della libertà. Tutta questa libertà è solo una follia. Tu sei cattivo. Ero affamato. Avevo sete. La sete che avevo era una lama rovente. Ma volevo la luce. Volevi il buio. Volevo la luce. La tua luce è una terribile illusione. (silenzio) Tu non sai amare. È quello che dicono. Ma nessuno mi odia più di quanto io mi odi. Dentro di me c’è una voce che parla come loro, sei tu. È la mia guerra, è proprio qui. Se perderò… la perderò solo qui dentro. Tu amami piuttosto. Mostrami l’Amore. Si può insegnare? E se lo insegni a me, imparerai anche tu? Dicono che si deve educare al bene attraverso il male. Che siamo deboli. Tollerati. Per quanto ancora? (pausa) Se solo potessi essere quello che sono. Ma io non posso sopravvivere a te. E tu a me. Solo uno, solo uno di noi può restare. (pausa) Io non voglio morire.     Monologo teatrale scritto da Camilla Tomiolo, rappresentato durante l’evento Blackout – giorno della memoria al Munizioniere di Palazzo Ducale il 29 gennaio 2017, organizzato da Arcigay Genova.

“Eldorado” (1a parte) – Monologo per il Giorno della memoria

Un calcio alla porta e sono dentro. La guardia con un occhio blu e l’altro grigio grida: “hey tu, invertito, in piedi!”. “Si, signore”, risponde Hans, con quella sua vocina sottile da topolino. “Qui! In ginocchio!”. “Si, signore”, il topolino si mette giù, in ginocchio, con la testa tra le mani. Eldorado di Michela Armenia Il trucco, è non reagire, recitare una parte. E io sono bravo a recitare, Sei nato per questo mi diceva mia madre. Meine Liebe. E’ semplice. Io faccio la valigia e pouff, me ne vado. E mi infilo, piccino come sono diventato, in quella fessura nell’asse di legno che ho un palmo sopra la faccia. Proprio lì, sotto le ossa del bacino di Otto. Prima il polso, poi il braccio e la spalla, poi l’altro polso, l’altro braccio e l’altra spalla, e poi qualcuno da sotto mi spinge su, sotto i piedi, e appoggio le mani su travi di abete ruvido. Abbasso anche io la testa, e annuso questo palcoscenico e mi alzo in piedi sui miei tacchi di vernice, neri. Sistemo le calze, velatissime, l’abito è quello di raso, rosso, con lo spacco, profondo. I pendenti di brillanti e il decolletè, liscio. Le perle dorate. Sono pronta. C’è il mio pubblico, qui, all’Eldorado. Il giovedì è la mia serata, la serata di Evah. Ho messo un velo di cipria sotto il rossetto, me lo ha consigliato Constance, così non sbava, nel caso ti sudassero i baffi sotto le luci forti della scena. Constance, l’unica puttana ebrea di cui ti potevi fidare. Piccolo angelo, c’eri anche tu su quel vagone. Stella gialla a te, triangolo rosa, a me. A me, che nemmeno piace il rosa. Non ha passione. Rosso doveva essere. Rosso, come l’inferno. Come questo vestito di raso che scivola sulle mie gambe e odora di tabacco e di rum. La parrucca è quella nera, ondulata. Sono pronta, tra il pubblico ci sono tutti quanti, ancora una sniffata di cocaina. Sapessi, Guardia, come fa star bene un po’ di coca, una sigaretta e un bicchiere di vino rosso. Mi aiuterebbe, sai, Guardia, quando ti chiedo una porzione in più di sardine e tu mi spingi la faccia contro il tuo grosso cazzo ariano, non sai quanto mi aiuterebbe un po’ di coca, una sigaretta e un buon bicchiere. Inizio a cantare, ieri si è esibita Marlene, l’Angelo Azzurro, Dietrich su questo stesso palco e adesso tocca a me, ho cancellato le mie sopracciglia, con la cipria, e le ho ridisegnate sottili, due sorrisi sottili, all’ingiù, proprio come le sue. Ma il boa di struzzo no, io no, io sono Eva e voglio che mi vedano per bene, la mia faccia, la mia bella faccia tutta intera, con i miei zigomi forti e gli occhi allungati. Le mie gambe. E la mia voce. Inizio la mia canzone. Ridi, Guardia? Ridi della mia testa rasata da un barbiere distratto? dei miei capelli castani e lucidi lì per terra, sopra mucchi di capelli di criminali, pazzi, di comunisti, ebrei e zingari? Ridi dei miei denti che sembrano così grandi e gialli tra queste labbra cotte dal sole e dalla neve, tagliate da solchi dove scorre sangue e pus? Ridi delle mie mani che non sanno stare ferme? E’ il mio segreto, sai Guardia? Io sento la musica, io la seguo sulla punta delle dita. Dovevo stare più attento, oh lo so. Lo! So! Me lo diceva sempre lo Zio, sai Guardia? Mi diceva che dovevo essere un finocchio discreto. Tu puoi essere un finocchio ma non puoi vivere come un finocchio, diceva lo Zio. Non devi nemmeno sognare o immaginare come un finocchio. Il caro, vecchio, Zio. Era così infelice povero Zio, si eccitava come un bimbo davanti a un treno a vapore, per uno sguardo rubato, per una mano sfiorata, Ogni sua stretta di mano era il ristagno di una carezza, povero Zio. E ogni suo respiro, il ristagno di un grido. Io, Io la volevo tutta, questa mia vita, tutta così, come mi chiedeva di essere vissuta, io non volevo rosicchiare gli angoli. Io ho baciato, abbracciato, ho toccato e scopato così tanto e non ho mai dovuto pagare, sai Guardia? Ma certo che lo sai, quanta bella carne c’era attaccata a queste ossa. Io sono pronta, ora inizio la mia canzone, in prima fila c’è Christopher, che mi sorride, il mio piccolo Chris, con quel suo accento inglese, era adorabile. Avrei dovuto seguirlo, “Scappa con me a Londra”, mi ripeteva, “la mia vita è qui, all’Eldorado, dolcezza”, gli rispondevo. Chissà dove sei con i tuoi occhi verdi, mio piccolo Chris. Chissà se ci pensi ogni tanto… ti ricordi? Berlino. 1930… autunno. Io ti posso ancora sentire mio dolce Chris, nelle mie mani c’è il ricordo della tua pelle, nelle mie dita, la linea del tuo profilo. Mi sorridevi, dalla prima fila. Cherie. “Qualcuno porti via Hans”. Vogliono che ce ne occupiamo noi dei corpi. Non ci vogliono toccare. Non c’è nessuno che ci tocchi qui. Per noi con il triangolo rosa non ci sono più abbracci o carezze. Noi con il triangolo rosa sappiamo che siamo ancora vivi perché quando tossiamo, pisciamo o caghiamo sentiamo fitte di dolore. Quando ci bastonano le gambe se non scattiamo subito al suono della sirena, Fitte di dolore quando ci spingono per terra per vedere quanti secondi impiega un invertito a cadere, rialzarsi, cadere, rialzarsi, cadere. Il dolore dell’amore che se ne va, E’ la mia canzone. Meine Liebe. Mi dicevi “Scappa con me a Londra” “La mia vita è qui, all’Eldorado, dolcezza”, ti rispondevo sempre. Mi dicevi con il tuo adorabile accento inglese, mi dicevi “Questa non è la Terra Promessa” La Legge, mi dicevi, “We are bandits”.   [Voce fuori campo] Paragrafo Centosettantacinque: La fornicazione contro natura, cioè tra persone di sesso maschile ovvero tra esseri umani ed animali, è punita con la reclusione; può essere emessa anche una sentenza di interdizione dai diritti civili.   (ride e canta) Sei andato via da solo, meine

Un bene a mondo di Andrea Bajani: sensazioni dalla presentazione di Genova

Andrea Bajani entra nella libreria, la percorre in longitudine e si siede accanto a Emilia Marasco, di fronte alle persone venute lì a ascoltarlo. Poi prende il microfono nelle mani e, con un gioco di passaggi, parla, legge e risponde alle domande che lei gli porge, insieme al microfono, e a molti sorrisi. Introduzione. Genova. Via Luccoli 98r. Libreria L’amico ritrovato. Venerdì 4 Novembre. Ore 18 (e qualcosa). Godersi le cose belle a volte non è facile, non è facile non farsi prendere da una certa ansia di non riuscire a raccogliere tutte ma proprio tutte le pietre preziose che, con semplicità e onestà, Andrea Bajani tira fuori dalle sue tasche, presentando il suo ultimo romanzo. Forse sarà perché si intitola Un bene al mondo, e tutti quanti abbiamo, credo, disperatamente bisogno di trovare un bene, almeno uno, al mondo. Questo lo dice anche lui. E forse sarà perché, dentro al libro, Bajani ha messo proprio questo. Un bene al mondo racconta di un paese sotto a una montagna, a pochi chilometri da un confine misterioso, Un paese come gli altri: ha poche strade, un passaggio a livello che lo divide, e una ferrovia per pensare di partire. Nel paese c’è una casa. Dentro c’è un bambino che ha un dolore per amico. Lo accompagna a scuola, corre nei boschi insieme a lui, lo scorta fin dove l’infanzia resta indietro. E ci sono una madre e un padre che, come tutti i genitori, sperano che la vita dei figli sia migliore della loro, divisi tra l’istinto a proteggerli e quello opposto, di pretendere da loro una specie di risarcimento. Ma nel paese, soprattutto, c’è una bambina sottile. Vive dall’altra parte della ferrovia, ed è lei che si prende cura del bambino, lei che ne custodisce le parole. È lei che gli fa battere il cuore, che per prima accarezza il suo dolore. (Dalla bandella) La mia maestra di Officina Letteraria, Chicca Gagliardo, poco tempo fa ci ha detto che la letteratura è un dono. È stata Laura Bosio a definirla così. È quando puoi donare qualcosa che sei autentico, che vale la pena di provare a farlo arrivare agli altri. E Andrea Bajani questo libro stava aspettando di scriverlo da quarant’anni. Tutti sanno cosa è un bambino e tutti sanno cosa è un dolore, anche se per tutti è una cosa diversa. Vorrei scrivere un piccolo diario di quello che è successo davanti (e dentro) ai miei occhi durante la presentazione, vorrei che fosse una mappa capace di segnare almeno i punti cardinali, anche se le mappe, come le parole, stanno sempre un passo indietro a ciò che accade. Vorrei che ci fossero tre voci, che sono la voce delle domande di Emilia, la voce delle parole dell’autore e la voce della mia penna a riportare le risposte sulla carta. Un flusso di domande e di risposte. Da dove nasce l’idea di rappresentare uno stato d’animo, il dolore, come un qualcosa di concreto, di esterno a noi? Il dolore di Bajani ha una forma di carne e di ossa, ha fatto un balzo dal territorio interno, quello di cui siamo fatti, per materializzarsi letteralmente a fianco del suo padrone, il bambino. Insieme sono i protagonisti della storia. L’incipit letto dall’autore. C’era un bambino che aveva un dolore da cui non voleva mai separarsi. Se lo portava dappertutto, ci attraversava il paese per andare a scuola tutte le mattine. Quando arrivava in classe, il dolore si accucciava ai suoi piedi e per cinque ore se ne stava senza fiatare. […] Il dolore era fedele al bambino, ed era solo con il bambino che voleva giocare. Mentre il bambino pedalava, il dolore a volte correva più veloce di lui con la lingua che gli pendeva tra i denti. […] Quando arrivavano al ruscello, il bambino appoggiava la bicicletta contro il tronco di un albero. Poi cercava dei pezzi di legno e delle foglie, e con quelli costruiva una barca e lasciava che salpasse verso il mare. Il dolore gli portava le foglie e i rametti e si avvicinava alla riva per vederla partire. Quindi tornavano a casa passando per i boschi. […] La sera il bambino si lavava, perché così gli avevano insegnato. Poi si metteva il pigiama. Sua madre e suo padre guardavano la televisione, e quando lui si affacciava a piedi nudi per la buonanotte non si voltavano. Il bambino e il suo dolore si incamminavano lungo il corridoio, che la sera sembrava infinito. Quindi aprivano e chiudevano la porta della camera, e il bambino si infilava sotto le coperte. C’era un giaciglio accanto al letto perché il dolore avesse un suo posto e una coperta per ripararsi dal freddo. Ma il dolore non ci dormiva mai. Saltava sul letto e si addormentava appoggiando la testa sui piedi del suo padrone. A metà della notte si infilava sotto le coperte con il bambino e lo riscaldava alitandogli in faccia fino al mattino. E quando suonava la sveglia, la prima cosa che faceva il bambino, ancora prima di aprire gli occhi, era cercare il dolore col braccio. Il dolore di Bajani è una presenza reale, visibile, che si può toccare con le mani, vedere con gli occhi. Una creazione letteraria che costruisce una via più accessibile per capire ciò che, accadendoci dentro, a volte è impossibile da decifrare. Una idea geniale che è arrivata all’autore dopo un lungo periodo di grande difficoltà nella scrittura. Ci racconta che stava scrivendo un altro romanzo, ma non riusciva a finirlo. Racconta che era come essere finiti in un buco. E che questo lo stava facendo quasi impazzire. Per salvarsi da questo buco in cui era finito, in quel periodo dice di aver scritto cinquanta brevissime poesie, molte di più in realtà, ma dopo una attenta scelta ne sono rimaste cinquanta. Ha sempre letto e scritto poesia, ha iniziato così a scrivere. Ma non erano le poesie che l’editore stava aspettando di ricevere. Lui gliele ha mandate lo stesso, in una e-mail ha scritto: Forse

Qualcuno ci ha detto che hai un cassetto nel racconto!

Domenica 25 settembre, contribuite ad arricchire la nostra giornata open day all’Edicolibro di piazza della Meridiana scrivendo un racconto breve ispirato dal binomio fantastico “Cinque” + “Cassetto”. Ci saranno letture dei binomi degli scrittori di Officina Letteraria Emilia Marasco, Ester Armanino, Sara Boero, Antonio Paolacci e di molti altri amici che stanno aderendo all’iniziativa. Come partecipare. Inviate una email a info@officinaletteraria.com o scrivete il vostro nome nell’evento su Facebook e noi vi metteremo in scaletta! Durante la giornata forniremo informazioni sui nostri laboratori in programma per il 2016/17. Edicolibro resterà aperto per il consueto scambio libri con i volontari di Officina Letteraria. Dalle 20:00 alle 22:00, apertura serale a cura di Collettivo Linea S. Info e FAQ: QUANDO: 25 settembre, 10:30-12:30 / 14:30-17:30; DOVE: a Genova in Piazza della Meridiana, presso Edicolibro; COME: il vostro racconto breve non deve superare le 4.000 battute e lo dovete portare già stampato; COSTO: è gratis, ma dovete prenotarvi; CHE COS’È un “Binomio Fantastico”? È un noto esercizio proposto da Gianni Rodari nella sua Grammatica della fantasia, il binomio fantastico si basa sull’associazione di due termini che non hanno nulla a che vedere tra di loro: il compito degli scrittori è quello di riuscire a legare questi due termini inventando una breve storia. Se piove: l’evento si sposterà nella vicinissima sede di Officina Letteraria in via Cairoli 4. Scrivete, iscrivetevi al reading e condividete la notizia!

NARRAZIONI tra fotografia e scrittura

Valeria Dimaggio, Stefano Isidoro Radoani, Annalisa Pisoni raccontano ognuno con la propria poetica un’esperienza molto privata, attraverso momenti simbolici che rivelano la vita interiore del soggetto. Sono narrazioni di temi che spesso oscillano fra l’elusione e l’esibizione: il cambio d’identità sessuale e la malattia, qui sono affrontati senza ricerca di fascinazione, e con interpretazioni molto personali. Valeria Dimaggio con Io sono Roberto ci conduce con grazia verso la rinascita di Roberto, libero dalla gabbia di un corpo in cui non si riconosceva e che ora mostra con disinvoltura e ironia. Stefano Isidoro Radoani con Exit, parla di sé autoritraendosi e ci mostra la possibilità di poter convivere col dolore fisico, con la paura di non poter più controllare il proprio corpo, trovando una via d’uscita. Annalisa Pisoni con il video, dal linguaggio più onirico, Anatomia di un battito rappresenta come ricordi e pensieri, anche in un fisico esanime, abbiano la forza di modellare le cose della realtà, anche oltre i limiti della vita individuale. In queste narrazioni il corpo è al centro di paure e tabù di noi contemporanei, oggi più che mai alla ricerca dell’eterna giovinezza e di una salute e di una forma perfette, e così davanti a queste immagini è probabile uno smarrimento iniziale destinato a mutarsi in una sottile sensazione benefica, che deriva forse dall’empatia con i soggetti, con la loro intensità che ci fa diventare non più solo spettatori ma anche partecipi della loro storia. Piera Cavalieri  

Made in Korea

Officina Letteraria comincia una nuova collaborazione con Studio 23 di Piera Cavalieri. Il progetto si intitola NARRAZIONI tra fotografia e scrittura, infatti le mostre che da fine febbraio saranno allestite nello spazio di Officina offriranno uno sguardo sulla ricerca di quei fotografi che attraverso le loro fotografie compongono il racconto di spazi, situazioni, persone. Le mostre a Officina non sono una novità, sono proposte per aprire Officina anche a un pubblico non necessariamente legato alla scrittura e agli apprendisti scrittori come ulteriore spunto per la loro immaginazione.   Piera Cavalieri scrive: Il pluripremiato Made in Korea è l’acuto sguardo di Filippo Venturi sulla Corea del Sud oggi. Con un procedere da antropologo, l’autore ha indagato gli effetti distruttivi e inquietanti dello sviluppo economico e tecnologico nella società sudcoreana attuale, in un lungo viaggio da Seoul a Busan. Dopo anni di grande sofferenza, in un tempo recente, la forte ripresa economica ha ribaltato il modo di vivere dei coreani. Il nuovo benessere, come analizzato da Venturi, ha portato con sé una forte competizione, le cui vittime sono gli stessi coreani. La Corea diventata uno dei paesi più avanzati, con multinazionali come Samsung, Hyundai, LG, sottopone i suoi abitanti a ritmi di vita folli. Non è concessa la lentezza.  La ricerca dell’eccellenza scolastica con ritmi di studio serrati, l’adesione ad ogni costo a convenzionali modelli occidentali di bellezza, anche con la chirurgia estetica, la competizione professionale hanno, come risvolto della medaglia, la dipendenza da internet, dalle tecnologie, dall’alcol e un elevato tasso di suicidi, soprattutto tra i più giovani. Venturi con il suo occhio attento e sensibile, ci restituisce, attraverso le sue immagini vivide, il resoconto realistico di un paese in balia della sua rincorsa alla modernità. Ma Venturi non è nuovo a questo tipo di ricerca sulle società contemporanee. “L’ira funesta” è un’altra, eccellente indagine, questa volta in Italia, su un luogo costruito appositamente, la camera della rabbia, per sfogare gli istinti più bellicosi e gli impulsi violenti a colpi di mazza. Il corpo, che sembra essere il veicolo di liberazione, diventa una possibilità narrativa non verbale.

Appunti, tra lettere e figure. Personale di Francesca Biasetton

Quando incontro Francesca, non so se la porta si aprirà sull’ingresso di casa sua o sulle stanze del suo atelier. “Tutte e due”, mi dice, e vengo accolta in una casa-studio luminosa, sui toni del bianco e del grigio. Francesca Biasetton è un’illustratrice e una calligrafa, non una grafologa, sottolinea sorridendo e facendo allusione alla scarsa conoscenza che ancora esiste in Italia attorno alla materia, nonostante l’Associazione Calligrafica Italiana, di cui è Presidente dal 2011, sia attiva da più di vent’anni. La calligrafia è argomento sfuggente, semplice e complesso al tempo stesso. Bella scrittura che si manifesta nel rispetto di regole di proporzione, codice di segni, che sono anche suono e significato, non esclusiva forma, né semplice contenuto, regolarità e caso. Il segno che il tiralinee lascia sul foglio non è del tutto controllabile mi spiega Francesca, perciò, anche se si interviene sulla pressione esercitata sulla pagina o sull’inclinazione dello strumento, il risultato finale non è completamente prevedibile. Questo argomento mi incuriosisce, e mi incuriosisce anche il tiralinee, oggetto di cui ho forse un vago ricordo scolastico: “è quello strumento che si trova nelle scatole dei compassi e che nessuno sa come usare”, chiarisce Francesca. Un rapido sorriso – mi accorgo in quell’istante che tutta la casa è intonata ai suoi occhi grigi, nero inchiostro più bianco pagina, mi piace pensare – e sparisce nella stanza accanto. Ritorna con un tiralinee e diversi pennini, per mostrarmeli. L’unità di misura è lo strumento mi spiega, perciò se si scrive con un pennino a punta tronca o con un calamo arabo, le proporzioni cambiano. Per imparare si lavora in trasparenza, utilizzando la falsariga, cioè un foglio rigato posto sotto al foglio bianco sul quale si intende scrivere. Spesso gli allievi trovano scuse per non prepararla, ma è un passaggio essenziale. Penso che questo deve avere a che fare con l’abitudine alla velocità, con l’aspettarsi subito il risultato facile, quell’aderenza quasi perfetta tra intenzione e risultato cui ci hanno viziati tasti, leve e interruttori. Ma la Calligrafia è una disciplina che ha a che fare con la lentezza, con la cura, con le mani; nella lettera scritta a mano si compie e si rinnova la perfezione del gesto che si fa parola, prima parlata, poi disegnata sulla carta. Ma che cosa accade quando, progressivamente, la scrittura ritorna al puro segno? Francesca Biasetton si è dedicata anche all’asemic writing, particolare forma d’arte che pone chi osserva tra il leggere e il guardare. Forma d’arte astratta?, chiedo, o espressione pregrafica? Omaggio alla scrittura illeggibile-magica, all’indecifrabile, o ricerca di un modo altro della comunicazione? Tutte queste cose insieme, risponde, e mi racconta il suo metodo Io parto dal testo e procedo per trasformazioni successive. Lavoro per via di togliere, finché non resta che il segno Non posso fare a meno di visualizzare una lunga fila di rapidissimi fotogrammi, che riportano le scritture, i loro diversi alfabeti, al seme iniziale, a quel segno primigenio, comune forse, che trasformò per la prima volta un pensiero pensato in una scrittura scritta, un’idea nella sua orma. Francesca mi mostra i suoi taccuini, alcuni dei quali saranno esposti in Officina Letteraria in occasione della sua personale. Ne ha sempre uno con sé, su cui annota frasi, parole, immagini. Non sono i classici “taccuini d’artista”, mi spiega, non li ha mai compilati pensando che un giorno qualcuno potesse sfogliarli. Contengono idee in seguito diventate concrete, spunti rimasti tali e molti disegni realizzati con la penna a sfera, strumento semplice e versatile, cui è molto affezionata. Lì dentro ci sono probabilmente gli elementi primi di tutte le sue opere, dalle illustrazioni agli abiti scritti a mano per Midali, dall’Abbecedario, Premio Andersen 2003, agli appunti per logotipi, lettering per film, video, libri… Parliamo ancora dell’Iran, dove in occasione di “Incontri”, a Teheran, ha conosciuto la calligrafa Golnaz Fathi: dieci giorni di straordinaria sintonia e di lavoro a quattro mani, che Francesca descrive come un dialogo sulla stessa tela. “Mia nonna era di Alessandria d’Egitto, parlava l’Arabo”, aggiunge. “Mi ha lasciato questo”, indica un mobile accanto al tavolo dove siamo sedute, “insieme alla curiosità per quella lingua e il suo alfabeto”. Lingua e scrittura che ha poi studiato per anni. La conversazione ha qualche pausa – due diverse forme di riservatezza, o forse è la naturale punteggiatura di un discorso che sta per chiudersi: tre gocce di inchiostro che il foglio accoglie. Ringrazio Francesca e ci salutiamo. Un sorriso, occhi grigi: nero inchiostro più bianco pagina, mi piace pensare. In occasione della mostra personale Appunti, tra lettere e figure, che inaugura in Officina Letteraria sabato 12 dicembre, Francesca Biasetton terrà il laboratorio Scrivo (a mano) quindi sono (io), per ritrovare il tempo e il piacere della scrittura manuale, e per un primo approccio alla calligrafia. http://www.biasetton.com/biasettonwebsite/ http://www.officinaletteraria.com/maestri/francesca-biasetton/  

Flemma di Antonio Paolacci a Officina

Domani, sabato 31 ottobre alle 18:00, verrà presentato presso la sede di Officina Letteraria “Flemma”, il nuovo romanzo di Antonio Paolacci (edizioni Morellini). L’incontro con l’autore sarà moderato da Emilia Marasco e arricchito dalle letture di Maurizio Patella e dal dj set di Maurizio Mongiovì. L’estrema provincia italiana e una città in mutazione, una rete di storie che si pedinano a distanza, tra una Bologna ogni giorno più ostile e l’apparente monotonia di un paesino del Cilento. Un attore squattrinato che recita monologhi satirici. Un’agente di polizia destinata a scontrarsi tragicamente con lui. Un piano balordo di rapina. Un tredicenne che scopre le possibilità della violenza. Genitori che s’interrogano sul destino dei loro figli. Un’aspirante fumettista che lotta con i propri fantasmi. Un ragazzo che soffoca nel formalismo di provincia fino a concedere alla propria rabbia di attecchire… Un romanzo scritto al presente, permeato di sonorità rock e pop, che procede per frammenti, immagini e suggestioni, per raccontare una storia di solitudini, irrequietezze e sguardi perplessi, in cui i bambini non sono innocenti, gli adulti sono privi di risposte, i trentenni si chiamano ancora “ragazzi” e tutti, in qualche modo, sembrano incapaci di gestire la loro stessa realtà.

4.000 storie d’amore | La Biennale dei Giovani Artisti di Milano

Avreste mai desiderato leggere un libro che si adattasse ai vostri gusti del momento? Una storia con un finale leggero, se la cena vi fosse rimasta ancora sullo stomaco. O un incipit piccante, se non avete più voglia del solito “C’era una volta”. Bene, noi l’abbiamo fatto; e con noi intendo il Collettivo Caratterimobili. Ma andiamo per gradi. Tutto comincia alla lezione di Officina Letteraria di un lontano maggio, in cui ci viene segnalata l’iniziativa: è la Biennale dei Giovani Artisti, che ha una sezione Letteratura alla quale ci si poteva candidare come artisti della Liguria. Abbiamo detto perché no, partecipiamo. Sulla scia dell’entusiasmo formiamo un collettivo: lungimiranti, lo chiamiamo Caratterimobili (sì, metà va scritta in corsivo). Al via del progetto, il collettivo conta una decina di membri entusiasti di condividere le proprie opinioni su un gruppo di messaggistica istantanea. Lentamente l’incantesimo si spezza: l’incombente esame di maturità per alcuni, gli sbalzi umorali, la pubertà, l’Estate. Sono tutti sintomi tipici dell’under 35, età sotto la quale ogni membro del gruppo doveva stare. Per fortuna c’è chi si sente vecchio dentro, e i pochi matusa rimasti affrontano la partenza del progetto al tavolino di un locale, davanti a un piatto di lasagne al pesto e a una parmigiana. Al tavolo ci siamo io; Irene Buselli: “grammatica” da studi classici che vuole fare la matematica; Ester Armanino: architetto, scrittrice, maestra di Officina Letteraria — ma principalmente capogruppo del Collettivo Caratterimobili; Tilahun Bertocci, giovane grafico che ha conosciuto l’approssimativa struttura del progetto circa un’ora prima della consegna, e ha dovuto dargli una forma. Il concept di questa edizione era chiaro e semplice, No food’s land. Ovvero: no, cibo, di, terra; Goggle Translator ci dà suggerimenti random. Expo 2015, il pianeta Terra, ma soprattutto: quando si mangia? Siamo partiti dal metabolismo. Si è pensato a un libro da mangiare (magari stampato su carta da zucchero), poi in ordine sparso: calorie, chilocalorie, la differenza tra una caloria e una chilocaloria, libro-gioco, bestiari magici, lasagne alla parmigiana, consegna entro Luglio, estate. Qualcosa, in un modo o nell’altro, ne è uscito fuori. Il risultato è una piccola antologia di short-stories a forma di menù. Il titolo è Restoryant, e anche qui c’è il corsivo in mezzo al nome. Restoryant è un ristorante letterario, dove non si serve cibo, ma storie: che sono poi il cibo della nostra mente. Così il menù si articola nelle classiche portate: antipasti, primi, secondi, contorni, dessert, caffè o amari per concludere. Ogni portata può avere 4 diversi sapori, scelti in base ai gusti del commensale. E sono queste scelte che comporranno la storia in base alle ordinazioni prese dal cliente. Un antipasto piccante è certamente un rimedio contro gli stereotipi, ma può comunque condurre a un secondo insipido, se la suspence non è ben dosata. 4 gusti di storie, in un certo senso storie d’amore, che si intrecciano in 6 diverse portate, con la possibilità (tuttora inesplorata) di 4.096 combinazioni di intreccio. E così, il 19 Ottobre, Restoryant (ricordatevi il corsivo in mezzo) ha debuttato in Sala Dogana a Palazzo Ducale, insieme ad altre 3 opere degli artisti selezionati a rappresentare la Liguria: Nuvola Ravera, Leonard Sherifi, Stefano Tirasso. Se vi sbrigate, fate ancora in fretta a vederlo. Ci è venuto anche in mente di girare un video per presentare il progetto, perché 4.096 storie che collimassero dall’antipasto al caffè non ci sono bastate. Dopo l’inaugurazione in Sala Dogana, la sera del 20 Ottobre al Count Basie Jazz Club di Genova, riservata ai 100 artisti dall’Europa e dal Mediterraneo ospiti della Pre-Biennale di Genova. Qui si sono tenuti i reading di tutte le opere letterarie partecipanti alla Biennale dei Giovani Artisti. Due copie di Restoryant deliziosamente confezionate dalla case editrice dei sogni Pulcinoelefante, sono poi in viaggio verso Milano; e se non hanno trovato traffico in tangenziale, sono già appoggiate a un tavolino sopra una tovaglia rossa alla Fabbrica del Vapore. Le porte hanno aperto il 22 Ottobre, dove Mediterranea 17 Young Artists Biennale sarà visitabile fino al 22 novembre. Per il progetto Restoryant si ringrazia: Emilia Marasco e Officina Letteraria. Edizioni Pulcinoelefante di Osnago, Alberto Casiraghy e Roberto Bernasconi. Per il video: Sara Sorrentino, Renato Carpi, Alessandro Bellagamba SDAC Genova. Grazie a Sara Fedele, Martina Bavastro, Letizia Castellazzi per esserci “state”, anche solo con il cuore.  

Penne Rosa a Genova

Si apre domani alla Sala Consiliare del Municipio IV il festival Penne Rosa, con un dibattito sulla scrittura a cui parteciperanno Donatella Alfonso, Sara Boero e Sara Rattaro. Penne Rosa è il primo festival delle scrittrici genovesi, organizzato dalle librerie indipendenti di Genova. Una bellissima iniziativa tutta al femminile e “a chilometro zero” per promuovere la lettura sul territorio. Gli incontri, a cui parteciperanno anche le maestre di Officina Emilia Marasco, Ester Armanino, Barbara Fiorio, Rosalba Troiano e Gaia De Pascale, si concluderanno il 27 novembre. Di seguito il calendario completo degli eventi.  Una bellissima iniziativa tutta al femminile e “a chilometro zero” per promuovere la lettura sul territorio. Giovedì 15 ottobre, Sala consiliare Municipio IV Media Val Bisagno Dibattito: Scrivere a Genova Autrici: Donatella Alfonso, Sara Boero, Sara Rattaro Venerdì 16 ottobre, Libreria Libro Più, Pontedecimo Presentazione: Storia naturale di una famiglia Autrice: Ester Armanino Venerdì 16 ottobre, Libreria Sottosopra, Portoria Dibattito: Creare famiglie creative Autrice: Emilia Marasco Sabato 17 ottobre, Libreria Ali di carta, Struppa Presentazione: Adelante Autrice: Silvia Noli Mercoledì 21 ottobre, Libreria Marassi Libri Presentazione: Correre è una filosofia Autrice: Gaia De Pascale Giovedì 22 ottobre, Biblioteca Campanella, Prato Presentazione: Racconti colpevoli Autrice: Elisabetta Rossi Sabato 24 ottobre, Municipio IV Media Val Bisagno Presentazione: Cha-U-Kao Autrice: Rosalba Troiano Martedì 27 ottobre, Libreria Finisterre, Pré Presentazione: La melodia sibilante Autrice: Claudia Piano Giovedì 29 ottobre, Biblioteca Italo Calvino, Sori Presentazione: Il sogno di Pandora Autrice: Sara Boero Venerdì 30 ottobre, Libreria Mastro Libraio, Certosa Dibattito: Raccontare la Resistenza Autrice: Donatella Alfonso Sabato 31 ottobre, Libreria Libro Più, Pontedecimo Presentazione: Nessuno mai potrà + udire la mia voce Autrice: Deborah Riccelli Martedì 3 novembre, Biblioteca Lercari, San Fruttuoso Presentazione: La melodia sibilante Autrice: Claudia Piano Mercoledì 4 novembre, Libreria Finisterre, Pré Presentazione: Quella striscia di cielo sopra la testa Autrice: Lucia Tartaglia Giovedì 5 novembre, Libreria Mastro Libraio, Certosa Presentazione: Falene Erotiche Autrice: Ornella Pozzolo Venerdì 6 novembre, Libreria Marassi Libri Presentazione: Tears in Hell da Crimini sotto il sole Autrice: Arianna Destito Sabato 7 novembre, Libreria Ali di carta, Struppa Presentazione: L’acero delle stelle Autrice: Marina Salucci Mercoledì 11 novembre, Libreria Libro più, Pontedecimo Presentazione: Adelante Autrice: Silvia Noli Sabato 14 novembre, Libreria Mastro Libraio, Certosa Presentazione: Quella striscia di cielo sopra la testa Autrice: Lucia Tartaglia Martedì 17 novembre, Libreria Sottosopra, Portoria Presentazione: Il sogno di Pandora Autrice: Sara Boero Giovedì 19 novembre, Libreria Marassi Libri Presentazione: Vintage! Caccia al tesoro nel cassetto della nonna. Autrice: Cristiana Crisafi Giovedì 19 novembre, Biblioteca Italo Calvino, Sori Presentazione: Qualcosa di vero Autrice: Barbara Fiorio Sabato 21 novembre, Libreria Ali di carta, Struppa Presentazione: Niente è come te Autrice: Sara Rattaro Lunedì 23 novembre, Libreria Marassi Libri Incontro con Barbara Fiorio Martedì 24 novembre, Libreria Finisterre, Pré Presentazione: Storia naturale di una famiglia Autrice: Ester Armanino Giovedì 26 novembre, Laboratorio Migrazioni, Sarzano Sant’Agostino Dibattito: Il mestiere di scrivere al femminile Autrici: Barbara Fiorio, Deborah Ricelli, Marina Salucci Venerdì 27 novembre, nella cornice del Foyer del Teatro della Corte Tullio Solenghi presenterà Barbara Fiorio e il suo Qualcosa di vero

Tempora. Personale di Paolo Bonfiglio

C’è un uomo che cammina in mezzo a una foresta di tronchi d’albero. Sappiamo che avanza come si conoscono per istinto le cose ineluttabili, sappiamo che va avanti perché nessuno può davvero fare altrimenti. Ma la neve che ha lapidato il suolo – lastra bianca che solo un rovo buca come un ago storto – la neve lo radica a terra, lo sprofonda. È così che si muore, sembra dire. È così che questi pali neri, che sono alberi senza chioma, intrecciano il tessuto bianco e nero di una scenografia naturale e spietata. Che poi a ben vedere non c’è intreccio alcuno: la simmetria della natura è fatta di linee parallele, solitudine geometrica che va avanti all’infinito. In Mortale ho mischiato insieme le Langhe, un quartiere di Barcellona che è un esempio di quarto mondo e Sarajevo mi racconta Paolo Bonfiglio. Intanto, mentre parla, riempie di parallelepipedi il foglio che ha davanti. Mortale, realizzato nel 2009, è uno dei tre cortometraggi prodotti dall’artista insieme al musicista Mick Harris. “Animatic”, si dice, animazione più comic. Il termine non mi piace del tutto, chiarisce, ma è di questo che si tratta in sintesi. La prima collaborazione con Mick Harris però risale al lungometraggio Fragments, un cineconcerto. Ho ricevuto la musica composta da Harris e l’ho unita al mio archivio di immagini (fa un cenno in direzione della sua testa) Harris non ha composto la musica per i miei disegni, così come io non ho realizzato i disegni a partire dalla sua musica: si è trattato di un processo parallelo, fatto anche di aggiustamenti progressivi e reciproci. Io ascolto, caduta a capofitto in questo mondo che affascina solo a sentirlo raccontare, e intanto ripenso a quello che Paolo mi ha raccontato di sé. Da piccolo guardavo un mucchio di televisione, mi ha detto poco fa, cartoni animati belli e meno belli, ne guardavo un sacco. Mi immagino le Langhe – sono nato tra Acqui e Alba – , sono gli anni ’70. Mi immagino il freddo e la neve, il buio presto. Adesso che vive tra Parigi, le lezioni all’Accademia di Belle Arti di Genova e le sue Langhe, quando torna a casa quel tempo lo dedica alla scrittura. C’è troppo buio per dipingere a olio, spiega: Scrivo per ragioni ambientali Davanti alla stufa, con il buio dietro i vetri della finestra, la scrittura diventa un fatto determinato dalla stagione. Sorrido. E penso che questo bisogno di esprimersi praticando molti linguaggi (la scrittura, l’immagine in movimento, il disegno e la pittura) sia l’unico modo di assecondare un impulso narrativo che non dà tregua. Faccio tutto io, mi dice a un certo punto parlando dei suoi lavori teatrali. E non si tratta di mania di controllo, è chiaro, e nemmeno del desiderio pure comprensibile di esprimersi in tutti i modi che gli sono congeniali: è piuttosto un’assunzione di responsabilità totale. C’è un cane che rosicchia un teschio, lo fa per gioco. Ancora bianco e nero. Il teschio – la valigia piena di ossa è il bagaglio del passato, mi sussurra all’orecchio la Mater – il teschio può essere il mio, il tuo, il suo. Il teschio, le ossa, riguardano tutti noi mortali. E mortale può essere la memoria, rosicchiata, rosa, erosa. La scomparsa della memoria è il pericolo più grande Ed è già in atto. Lavoro moltissimo, adesso, mi spiega. Dice che vuole compensare quel periodo di spreco, lo chiama così, di esuberanza creativa in cui ha indugiato da ragazzo. Eravamo nichilisti, la mia generazione ha sprecato, ha vissuto interi anni con poca cura. Si trovava facilmente un impiego negli anni ’90, si poteva viaggiare. Adesso, mi dice, voglio fare bene animazione, e quando insegno, ci metto tutte le energie. Mi parla, ancora, di due nuove idee/immagini su cui lavorerà a breve: la danza dei corvi che si litigano la spazzatura a Les Halles e il movimento delle foglie secche sollevate dal vento – casuale sì, ma c’è una regola, mi assicura, l’ho scoperto facendo una sequenza fotografica, è straordinario. Mi parla di Mala Tempora, un progetto ampio che richiederà moltissimi anni di lavoro. Prima di Mala Tempora, mi spiega, tutto quello che c’è prima l’ho chiamato Tempora. Tutto questo è Tempora. In Officina Letteraria, dal 10 Ottobre al 22 Novembre. www.paolobonfiglio.altervista.org

Women’s Fiction Festival Matera 2015

Cara amica, benvenuta al Women’s Fiction Festival. Così leggo nella lettera contenuta nella cartellina rosa che mi consegnano all’ingresso della sala stampa delle Monacelle, via Riscatto numero 9/10. È il 24 settembre 2015. I miei occhi sembrano aver compiuto un salto spazio temporale sulla Luna: tutto qui è sorprendentemente bianco e un pò remoto. Io e le mie compagne di viaggio siamo sbarcate a Matera, la città dei Sassi. Staremo qui quattro giorni, assisteremo alla kermesse letteraria che da dodici anni riunisce decine di agenti letterari, editor, traduttrici, scrittrici e aspiranti scrittrici. Una collettività della lettura, come la definisce Alessandra Casella durante la serata conclusiva del festival. Una magnifica polarizzazione di addetti al mestiere del libro provenienti da tutto il mondo. Elizabeth Jennings, Maria Paola Romeo e Mariateresa Cascino sono le autrici di tutto questo, tre donne che lavorano nel mondo del libro e che credono che il futuro passi proprio da lì: aprite i libri, aprite il futuro. “Pochi libri cambiano una vita. Quando la cambiano è per sempre, si aprono porte che non si immaginavano, si entra e non si torna più indietro.” Christian Bobin Gli incontri. Panels. Quelli che trovo più interessanti sono le tavole rotonde con gli agenti letterari. Sono venuti qui da varie parti del mondo, specialmente da Inghilterra e Stati Uniti e sono tutti decisamente donne: Julia Churchill (AM Health Literary Agency), Penelope Holroyde (Penelope Holroyde Literary Agency), Vicky Satlow (Vicky Satlow Literary Agency), Christine Witthohn (Book Cents Literary Agency). A moderare le discussioni è la nostra agente italiana, direttrice editoriale del festival, Maria Paola Romeo (Grandi & Associati). Assisto munita di cuffiette per la traduzione, sono presenti in sala, infatti, le interpreti: lo scambio è così stimolante anche per via di questo colore e sapore internazionale. Si discute dell’attuale situazione del mercato editoriale italiano ed estero, di self publishing con case editrici digitali, da soli o assistiti da un agente letterario, di editoria tradizionale, di contratti editoriali, del futuro: ebook o carta stampata? Nel panel intitolato “Il nuovo mercato digitale in continuo cambiamento” si discute di come l’editoria oggi sia in trasformazione e di come sia difficile fare delle previsioni su quali saranno gli esiti di questo cambiamento. Gli ospiti a confronto sono Porter Anderson (giornalista specializzato nell’industria editoriale), Meghan Farrell (editor della Tule Publishing), Ricardo Fayet (Reedsy), Jane Friedman (consulente editoriale e esperta di digital media), David Gaughran (autore e esperto di digital media), Camille Mofidi (Kobo) e Maria Paolo Romeo (Grandi e Associati). Tra le altre cose, si parla di un articolo, uscito qualche giorno fa sul New York Times e intitolato: “La fine della rivoluzione digitale”. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, si può leggere, la previsione per cui nel 2015 le vendite di ebook avrebbero superato quelle del libro cartaceo non si è avverata, anzi. Gli ospiti del WFF mettono a confronto le loro idee a riguardo, le posizioni sono eterogenee e articolate, ma su un punto sembrano concordare: la rivoluzione digitale non è finita. Il mercato editoriale è molto frammentato e sta cercando nuovi modi di declinare se stesso. Inoltre sfuggono alle statistiche, usate per sostenere la tesi della fine della rivoluzione digitale, gli ebook di editori indipendenti e degli autori che si auto pubblicano su Internet, nonché i dati di Amazon, che notoriamente restano blindati. Focus. Ci sono, poi, incontri focus su “Come proteggere la tua privacy sui social media” con Adam Firestone. “Come promuovere il tuo libro su web” con Porter Anderson e Jane Friedman: lo scrittore diventa partner dell’editore nel processo di promozione del suo libro pubblicato, può sembrare un duro lavoro ma è così che funziona. “Come utilizzare Kobo writing life”, la piattaforma internazionale per auto pubblicare in digitale il proprio libro. Storie sull’editoria non occidentale. Particolare è l’incontro che viene spostato all’ultimo giorno con Manjiri Prabhu. Manjiri è una scrittrice indiana, è qui a WFF per parlare dell’industria editoriale in India. Manjiri è una donna sorridente e tenace: per tre anni ha provato a organizzare in India un Festival della letteratura a Pune al quale inizialmente partecipò solo una decina di persona. Ci mostra le foto della sala quasi completamente vuota nel 2013. Ci dice che se si cercano le persone offrendo loro eventi culturali di qualità, quelle prima o poi risponderanno. Ci mostra la foto del 2015: un applauso e molti sorrisi si accendono nella sala del WFF. Manjiri ce l’ha fatta. Ha portato quello che noi tutte qui amiamo anche a casa sua. Anche se è stato difficile. In India fino a poco tempo fa il numero di lettori era molto basso a causa della povertà e della scarsa alfabetizzazione. Oggi il mercato editoriale indiano è in forte crescita. Pitching! Durante le sessioni pomeridiane del WFF si svolge La borsa del libro, le aspiranti scrittrici possono prendere appuntamenti con gli editor e gli agenti letterari, dialogare con loro, illustrare il loro progetto di romanzo. Gli incontri non durano più di dieci minuti, in gergo sono chiamati pitch.A noi italiani sembra una parola strana, nella pratica si tratta di coppie di donne che dialogano sedute su grandi divani sparsi per i corridoi e le sale delle Monacelle. Molto suggestive a vedersi per chi passa di lì come me, un p0′ meno per chi sta esponendo il suo primo romanzo alla signora editor di turno! Ma si sa, dopo l’adrenalina, a volte, arrivano molte gioie. Sono presenti, sedute sui divani, editor di alcune delle maggiori case editrici italiane e sono state scoperte qui molte aspiranti scrittrici che hanno ricevuto proposte per un contratto editoriale a seguito di questo incontro. Workshop. Sempre durante il pomeriggio è possibile per gli iscritti al Women’s Fiction Festival partecipare a Workshop di scrittura creativa tenuti dalle due scrittrici e sceneggiatrici Flumeri e Giacometti: tre incontri di tre ore ciascuno tenuti in una bella sala abitata da poltrone bianche, due simpatiche e avvincenti conduttrici, slides illustrative e spezzoni di film, molte donne partecipanti e molti spunti per la costruzione di un personaggio. Le due autrici sono anche membri di EWWA ,