Il Far West non è una vecchia storia con cavalli, cowboy, sparatorie dentro i saloon e bicchieri di whisky. Il West esiste ancora, il Texas c’è ancora, e dentro al Texas e le sue strade polverose può capitare di trovarci ancora qualche sceriffo oscuro a caccia di vendetta. Basta seguire le orme degli pneumatici, le impronte degli stivali, le scie di bossoli, ci vuole poco per caderci dentro con due piedi, come nello sterco…

“Nel dolore”

di Alessandro Zannoni

Certo: i cowboy non viaggiano più per il paese in groppa ai loro destrieri, ma usano pickup scassati; le pistole però sono cambiate poco, e fanno sempre molto male.

Questi sono i presupposti d Nel dolore (A&B editrice) di Alessandro Zannoni, autore nato a residente a Sarzana, con diverse pubblicazioni alle spalle. Nel dolore è il secondo romanzo che ha come protagonista Nick Corey, un italo-americano immigrato in Texas, figlio di una madre che parla una lingua mischiata tra inglese, italiano, il messicano e quella dei nativi.

La prima volta Nick Corey è apparso nel 2011 in Le cose di cui sono capace, uscito con Perdisa Editore. La gestione della collana era già in mano a Antonio Paolacci (tra le altre cose, maestro di Officina Letteraria), erede naturale di Luigi Bernardi, e Antonio ne curò anche l’editing.

«E con Stella come va».
Alzo gli occhi dal piatto e la guardo serio. «Bene, ma’. Le cose vanno bene».
«Cercherai anche stavolta di sposarla, io credo».
«Credo che sì, quella è l’idea. Ma stavolta me lo ha chiesto lei», dico facendole un mezzo sorriso vincente.
«Quindi sei tu quello che scapperà con i motociclisti», dice senza ridere.

Nick Corey è sceriffo di BekereedgePass, è fidanzato con Stella, ragazza che è tornata da lui dopo averlo abbandonato all’altare e lasciato solo per sette anni, e ha un problema con l’alcol. Di recente, qualcuno ha ammazzato il suo unico e migliore amico Rudy. Quindi Nick ha anche una missione: trovare chi ha ucciso Rudy, e fare giustizia. A modo suo.

Il romanzo è narrato in prima persona, da Nick, e il linguaggio è quello che ci si aspetta da lui: duro, amaro, masticato più volte come una foglia di tabacco. Dritto come la trama, un proiettile verso la fine; una brutta fine.

«Pensi che finirà male, Nick?»
«Credo proprio non ci sia alternativa, Stella».

Ad alcuni, il nome di Nick Corey potrebbe suonare familiare. C’è un motivo, e ve lo spiega l’autore stesso, a cui abbiamo fatto alcune domande.

OL: Come è nata l’idea di ambientare il romanzo nel Texas, e l’idea di utilizzare un protagonista italo-americano?

Alessandro: È un’idea nata da una provocazione che avevo fatto a Luigi Bernardi su Facebook: si possono fare cover di canzoni arcinote, si possono fare remake di film straconosciuti, ma a nessuno verrebbe in mente di riscrivere un libro famoso perché verrebbe subito accusato di plagio. Bernardi venne fuori con questa proposta: avrebbe pubblicato chi si fosse cimentato a riscrivere un classico. Ci ho pensato un po’ su e mi sono reso conto che il mio classico per eccellenza, parlando di noir, è un libro scritto nel 1961, ma che ha una freschezza che sembra uscito dalla tipografia un’ora fa: Colpo di spugna di Jim Thompson. Del romanzo originale ho mantenuto l’ambientazione americana per svariati motivi, il più importante dei quali è che volevo poter giocare ad armi pari con gli autori d’oltreoceano – partono avvantaggiati, nell’inventare una storia, perché in America tutto è possibile e i lettori italiani accettano questo assioma senza storcere la bocca, cosa che non accade nelle trame ambientate in Italia, dove ti fanno le pulci su qualsiasi cosa -. L’idea di utilizzare un protagonista italo-americano è derivata dalla mia voglia di giustificare l’uso del nome di Nick Corey. Mi pareva davvero irrispettoso usare a cuor leggero un personaggio così iconico e riconoscibile, quindi mi sono immaginato che questo nome fosse in realtà davvero casuale, nato dalla traduzione dell’italianissimo Nicola Coretti, figlio di immigrati naturalizzati americani. E questa cosa la spiego perfettamente nel primo romanzo con protagonista Nick Corey.

Il mistero della vita è che non c’è nessun mistero. Nasci vivi muori. Stop.

OL: Come ti sei documentato su questi luoghi? Sono reali o di fantasia?

Alessandro: Siamo esterofili, che ci piaccia o no, e l’America ci ha plagiato ben bene. Perciò credo proprio che ogni italiano di mezz’età abbia un ottimo background americano, grazie a libri, film e documentari, e con tutte queste informazioni non è servito andare in Texas di persona per ricreare una realtà plausibile e credibile. Ho scelto un luogo ideale dove immaginare la città di BakereedgePass, ho studiato alcune cittadine reali che sorgono in quella zona tramite Google Maps, e poi tutto mi è venuto naturale, tanto che nessun lettore si è lamentato. Anzi. E ad alcuni di quelli che mi hanno chiesto se ho vissuto in quelle zone, ho risposto di sì, per i primi quindici anni della mia vita, per non deluderli. In effetti credo di aver fatto un buon lavoro.

L’amore e la vita sono una merda necessaria.

OL: Perché “nel dolore”? Perché “l’amore e la vita sono una merda necessaria”?

AlessandroPer Nick il dolore è la condizione umana naturale. Lo ha messo alla prova, violento e inarrestabile, fin da quando era indifeso e innocente. Ha forgiato il suo carattere, inciso sulla sua vita. Nick non ha paura di affrontarlo, ci si butta a capofitto, perché sa che solo attraversandolo può raggiungere la sua pace. “La vita è una merda necessaria”, dice Nick, perché non può fare a meno di viverla, gliel’hanno data e non può tirarsi indietro, anche se ogni volta che si sbronza cerca di ammazzarsi ficcandosi la pistola in bocca. Sarebbe la via più breve per smettere di soffrire, ma c’è sempre un buon amico che lo aiuta a desistere, e un motivo forte per non farlo. Il motivo è l’amore, quello che prova per Stella, che crede sia la sua redenzione per diventare un uomo migliore e vivere una vita diversa e felice. In fin dei conti, cosa c’è di più necessario dell’amore, per vivere, per dare un senso all’esistenza? E anche se Nick sa che l’amore è una merda – perché Stella lo ha già lasciato una volta, poco prima di sposarsi, mandandolo all’inferno per sette anni – sa pure che è una merda necessaria per vivere.

MotorGeorge mi dice che gli è dispiaciuto per il mio amico e mi dà una pacca sulla spalla, tenta di attaccare un discorso sulla caducità della vita e quelle balle lì, ma io guardo solo Stella che si infila il casco e mi fa segno di seguirla e sento solo il cazzo che mi pulsa nella mano dentro la tasca dei calzoni, e allora gli dico già già già e arrivederci e monto sul pickup e corro con Stella verso casa e tutta l’angoscia della giornata si scioglie e se ne va a fare in culo, tutto il mio dolore si squaglia dietro la visione di questa donna che monta la moto con le braccia larghe e il busto piegato sul serbatoio e il culo all’infuori, quel maledetto culo che lenisce ogni mio dolore passato presente e futuro, e ritorno…

OL: Durante il romanzo ricorre molto spesso una parola, una figura, usata sia in senso metaforico che letterale: “culo”. Il “culo” sembra rappresentare la parte più intima e sacra di questi esseri umani che vivono sperduti nel deserto; sembra essere il possedimento più prezioso, e la sua violazione (metaforica e/o letterale) pare rappresentare la più grande onta possibile. Ho detto male?

Alessandro: No, hai detto una cosa giusta. Il culo è la parte più intima dell’uomo, inteso come maschio, e se viene vilipeso è come se tutta la sua mascolinità venga messa in dubbio e cancellata. Immagina una cosa del genere messa in pratica in Texas, patria dei cowboy, del vero uomo, il duro per eccellenza, sdoganato dai film che ci hanno pasciuto fin dalla tenera età.
“Ti inculo per cancellarti”, sembra dire Nick; per offenderti fino in fondo all’anima; per toglierti ogni dignità di uomo. Per molti lettori la “cura Corey” [che consiste in una pratica sodomita, N.d.r.] sortirebbe benéfici affetti su criminali e uomini spregevoli della società; così mi hanno scritto, e sai, non mi trovano in disaccordo.
Rispondendo alla domanda, ho ragionato che invece Stella vive il culo – e lo scrivo per la seconda volta senza virgolette – come una gioia, un godimento, togliendo al sesso anale quell’aura di peccato o di sesso deviato che ancora aleggia nella nostra Youporn society, rivendicando il diritto di amare con tutto il corpo, senza vergogna né tabù.
E niente, chiudo questa intervista così, dicendo che le donne sono superiori, e io ne ho preso atto da tempo.

La gente vuole credere in queste cose, nei misteri, negli alieni che ci governano da anni, nel sacro graal nascosto sotto il palazzo del Campidoglio a Washington, nel chupacabras e nei vampiri e nel cazzo che vuoi tu. La gente ci sguazza proprio in questa roba, perché se si accorgesse che la vita è davvero questa merda squallida che sembra, figliolo, non hai idea di quanti Kurt Cobain troveremmo nei garage delle case.

Alessandro Zannoni e Antonio Paolacci presenteranno “Nel dolore” al Count Basie Jazz Club di Genova, il 17 Marzo, alle h. 19:00.

Consiglio di esserci a chi vuole, per un paio d’ore, sentire l’odore di cuoio degli stivali, la terra brulla sotto i piedi, l’aria della sera che ti pizzica mentre bevi una birra sotto il portico affacciato sul deserto; insomma: quello che si prova leggendo il romanzo.

Copertina di
“Nel dolore”, Alessandro Zannoni (A&B editrice, 2017)

    Comment:

  1. Private: Consigli di lettura – Narrativa – Non temerai altro male
    10 Marzo 2017 at 1:23 pm

    […] Pop, esce “Le cose di cui sono capace”, romanzo ispirato da una suggestione di Luigi (Intervista Zannoni). Ora è in libreria il seguito, per l’editrice A&B, che riprende la storia dello […]

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