Giulio Mozzi, maestro di Officina per il Laboratorio di Stile, ci presenta il suo workshop con quattro interventi introduttivi. Questo è il primo, se non lo aveste ancora letto, questo il secondo e questo è il terzo.

“Non disponendo di un cavatappi, Kitano recise la carotide della bottiglia con un colpo secco, di taglio, della mano destra”. Si può recidere la carotide di una bottiglia? Sì, certo: visto che la bottiglia ha il collo. Ma…

Ma il collo della bottiglia non è veramente un collo, non è un collo come il mio e il tuo; e non ci ha dentro la carotide. Tuttavia noi diciamo abitualmente “il collo della bottiglia”, senza contare quel tipo che voleva “spezzare le reni alla Grecia”, quell’altro che vuole “tagliare le gambe alla concorrenza”, eccetera eccetera. Si dice “collo”, o “reni”, o “gambe”, in queste espressioni, per modo di dire.

Ecco: la quarta lezione concernerà l’uso delle parole “per modo di dire”. Si partirà dai modi di dire consolidati, dei quali non ci accorgiamo nemmeno (come quelli già citati: che sono, nel vocabolario della retorica, delle catacresi), per arrivare a quelli basati su relazioni e analogie facilmente intuibili (esempio classico: “un mare pieno di vele”, per dire “barche”), a quelli un po’ meno immediatamente intuibili (“Due volte nella polvere, / due volte sull’altar”: Manzoni, Il 5 maggio), per arrivare a quelli quasi inaccessibili, derivanti da associazioni mentali proprie dello scrittore (“In sé da simulacro a fiamma vera / errando”: Ungaretti, L’isola).

Si esamineranno quindi modi di dire diversissimi: alcuni codificati e altri inventivi; alcuni tipici della prosa e altri della poesia; alcuni basati su aspetti visivi, altri su concetti, altri ancora su pure immaginazioni, altri perfino su puri e semplici lapsus. Gli esercizi consisteranno nell’esplorazione del “campo semantico” (che è anch’esso un modo di dire, per indicare “un insieme di parole di una stessa lingua che si riferiscono ad uno stesso gruppo organizzato di significati in qualche modo legati tra di loro” – la definizione è di Wikipedia) e quindi della potenzialità espressive (e anche ornamentali, perché no?) del lavoro di sostituzione e sovrapposizione di significati.

Per tornare all’esempio iniziale: ricordiamoci che una mano non taglia. Anche in quel “di taglio” c’è un significato sovrapposto a un altro (e ricordiamoci che “sovrapporre” un significato a un altro non è come “sovrapporre” una tazza al suo piatto: anche lì c’è una “sovrapposizione” di significati…).

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