Ecco il primo racconto del nostro laboratorio estivo di Apricale 2016: la cornice che abbiamo preparato per le storie dei partecipanti ad un gioco di ruolo narrativo durato cinque giorni.

Ciascuno dei personaggi, delineati con una sorta di “binomio fantastico”, aveva il compito di scoprire e raccontare la storia di uno degli altri personaggi. Come? Scopritelo leggendo il racconto del gatto magico… oppure no!

Il gatto magico… oppure no!

I pavimenti di pietra non sono tutti uguali, eh no. Possono essere grigi, o bianchi, o neri. Possono essere lisci e rifiniti, o rustici, o colorati. Vi sfido a trovare due pavimenti di pietra identici.

Vanto una certa esperienza in materia e vi garantisco una cosa: comunque sia fatto, un pavimento di pietra non è MAI un letto comodo. Uno poi si adatta, per carità, io dormo persino sui cornicioni all’occorrenza. Non sono un gatto schizzinoso.

Ma nove umani addormentati per terra, in cerchio, non sono uno spettacolo che capita tutti i giorni. Stavo tornando dalla caccia notturna e sono rimasto a bocca aperta: talmente aperta che la lucertola mi è scappata. Mi sono affrettato a miagolarle dietro “vai, cara, oggi mi sento magnanimo!”, perché non si sparga la voce che sono un pasticcione, e poi mi sono acciambellato su un gradino a leccarmi le zampe.

“Sento odore di bella storia. Vediamo un po’ che hanno combinato questi nove elementi…”

Beh, ho aspettato a lungo: si sono svegliati che il sole era già alto, massaggiandosi le ossa doloranti. Uno dopo l’altro si sono messi a sedere e a portare in giro per la piazza nove sguardi smarriti. Sono balzato in mezzo al cerchio con l’aria di chi la sa lunga: “dormito bene, signori? Abbiamo alzato un po’ il gomito ieri sera, eh?”

Una donna si è coperta la mano con la bocca mugolando: “oh mio Dio, un gatto che parla!” E qualcun altro: “un gatto magico!”

E io: “…oppure no! Vi prego, signori, sono solo un normale gatto parlante. Niente di eccezionale, da queste parti. Anche il mio francese è discreto, se preferite…”

Mi hanno fissato tutti e nove sbigottiti, come se non avessero mai visto un gatto parlante. Mi veniva da sbattere la coda dal nervoso. Capite, questi dormono per strada come i gatti, ma guai se un gatto parla come un uomo, sacrilegio! Due pesi e due misure, come sempre.

“Voi, piuttosto. Voi chi diavolo siete?” Un altro lungo silenzio.

“Miao? Un miao vi mette più a vostro agio? MIAO! Vi ho chiesto i vostri nomi! Che c’è, il gatto vi ha mangiato la lingua?”

Quelli restavano zitti, e ho sentito ridacchiare dal muro di pietra la lucertola che mi era sfuggita. La mia immagine rischiava di venire decisamente compromessa dall’insubordinazione di quegli umani cafoni. Ho soffiato all’aria e sono tornato con un balzo sul gradino, pronto ad alzare i tacchi, quando uno di loro, un bambino con un forte accento straniero, ha preso la parola.

“Non lo sow, chi sowno, I swear.”
Gli ha fatto eco una seconda voce: “nemmeno io.” “Nemmeno io.”
“Nemmeno io.”

Tutti hanno alzato la mano, come a scuola, guardandosi l’un l’altro con aria interrogativa. Ecco. Perfetto. Non solo quei nove derelitti mi avevano fatto scappare la colazione, ma non avevano neanche una bella storia da raccontare!

Ho sbuffato con impazienza. “Ma sì, state tranquilli. Ho capito. È la solita, noiosissima, amnesia del 3 di luglio. Mi ero scordato che giorno fosse.”

“L’amnesia del 3 di luglio? Di che parli, gatto?”, ha chiesto una giovane.
“ANCORA? Ancora nel 2016 il Comune di Apricale non avvisa i turisti della maledizione?” “…maledizione?”

“La maledizione, maledizione, andiamo! È dal 1300 che i forestieri che si trovano ad Apricale il 3 di luglio perdono la memoria. È storia vecchia. E ancora a nessuno viene in mente di diffondere un comunicato stampa, chessò, di mettere un volantino. Turisti, tornate a visitarci domani, che se entrate nel borgo oggi vi va in pappa il cervello, una roba così.”

“Ma parbleu, come è possibile? Chi ha lanciato una maledizione del genere, e perché mai?”

“Senta, signorina, io sono solo un gatto parlante. Non ho le risposte a tutte le domande. E comunque nel 1300 non ero ancora nato, grazie tante. È semplicemente così. Una stupidaggine qualsiasi, credo. Qualche menestrello di passaggio che ha spezzato il cuore alla strega sbagliata. Vai a sapere. Ora, se volete scusarmi, lo stomaco brontola…”, ho concluso lanciando uno sguardo minaccioso alla lucertola irriverente.

“Aspetta, gatto! Aiutaci, per favore. Come facciamo a recuperare la memoria?”

“Lo sanno tutti. Dovete stanarla in paese, aiutandovi l’un l’altro. Nessuno può ritrovare la sua memoria da sé: bisogna che vi mettiate alla ricerca della memoria di qualcun altro. Ah, importantissimo: dovete riuscirci prima che il sole tramonti l’8 di luglio.”

“Perché, che succede l’8 di luglio?”

“Succede che o vi ricordate chi siete allora, o potete salutare per sempre i vostri ricordi. Tutto chiaro?”

I nove a quel punto mi hanno riproposto la loro performance preferita: fissarmi in silenzio con aria grave. Fantastico. Ho deciso di perdere altri cinque minuti ad aiutarli perché vi giuro, erano il peggior caso di amnesia del 3 di luglio che avessi mai visto.

“Ok. Dovreste ricordare qualcosa. Qualcosa di vago. In senso orario, prendete la parola e provate a darmi almeno un indizio… Può aiutare il compagno che cercherà la vostra memoria per Apricale.”

Ha cominciato il bambino: “Absolutely nothing, davvero.”

L’ho liquidato in fretta. “Ok, diciamo che sei un bambino. Sembri americano, dall’accento. Sarai un bambino americano, oppure no.”

La giovane donna ha ammesso, timidamente: “forse je suis un’artista. Dipingo. Forse.” “Perfetto. Una pittrice francese. Oppure no. Avanti il prossimo.”

Un omone dall’aria affranta ha scrollato le spalle: “Non ne ho idea. Ti direi un cavaliere, ma la situazione è talmente assurda che mi viene da dubitare della mia stessa esistenza.”

“Va bene. Diciamo che sei il cavaliere inesistente. Oppure no.”

L’anziano alla sua sinistra ha preso la parola con un colpo di tosse: “Musicista. Sono quasi sicuro di essere un musicista.”

“Il vecchio musicista. Oppure no. Tu chi sei?”, ho chiesto all’uomo accanto a lui.

“Un nobile. Certamente un barone, un barone… ecco… non mi viene il termine.”

“Tagliamo la testa al toro: un barone rampante. Oppure no.”

“Io sono un oste!”, ha esclamato con sicurezza lo smemorato successivo.

“Che prontezza! Come fai ad esserne così certo? Non è che te lo sei inventato?”, ha chiesto il barone.

Mi sono messo in mezzo prima che si mettessero a far polemica: “Se è onesto ha detto la verità e se lo ricorda sul serio. È l’oste onesto. Oppure no. Chiaro?”

“Io sono un frate eremita”, ha proseguito a testa bassa un signore di mezza età.

“Eremita dei miei stivali. Che ci facevi in paese a far bisboccia? Sento odore di vino lontano un chilometro! Diciamo che sei un frate eremita alcolizzato, oppure no.”

L’omaccione alla sua sinistra teneva lo sguardo a terra, in evidente imbarazzo. “Avanti amico. Tu che ti ricordi?”

“Preferirei tenerlo per me. Non è… ecco… un ricordo di cui vado fiero.”

“Sciocchezze! Vuoi rimanere smemorato per sempre? Coraggio, dillo!”

“Sono un boia. Ma forse mi sono ritirato. Spero.”

“Fantastico, abbiamo anche un boia, gente! Un boia in attività… oppure no! Resta solo lei, signora. Che lavoro fa lei?”

“Lavoro? No, non lavoro. Sono una contessa… anche se magari… magari avrò bisogno di cercarmi un lavoro, presto o tardi”, ha aggiunto frettolosamente la donna abbassando la voce.

“Una contessa decaduta. Oppure no. Bene. Ora avete in mano tutto quello che vi serve. Con il vostro permesso, io tolgo il disturbo, che per colpa di lor signori sono a digiuno da ieri sera.”

Prima che riuscissero a trattenermi ancora con qualche sciocca domanda mi sono infilato di corsa, coda bassa, in un vicolo, e li ho lasciati alla loro amnesia.

Volete la mia opinione? Son casi gravissimi. I peggior da quando… da quando… a dire la verità non me lo ricordo.

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