volevamo essere jo emilia marasco

Ci sono storie che ti entrano dentro e ci restano, a volte per tutta una vita. Storie che sono già lì quando ti cade il primo dentino, quando impari a nuotare dove non si tocca, quando il tuo corpo si trasforma e tu con lui. Storie che ti ricordi esattamente dove e quand’eri la prima, la seconda, l’ultima volta che le hai lette.

Ognuno di noi ha almeno una storia come questa. Piccole donne lo è stata per molte. Anzi, Jo e le sue sorelle, così avrebbero dovuto intitolarlo. Jo così saggia, impulsiva, emotivamente androgina, uno di quei personaggi che sembrano scritti apposta per far innamorare di loro.

Jo e le sue sorelle, così avrebbero dovuto intitolarlo

Tocca una corda preziosa, Emilia, in Volevamo essere Jo: la corda dei primi amori letterari, quelli che lasci nel taschino interno del bagaglio anche quando straborda di romanzi più lunghi, più complicati, a volte più noiosi. Quelli che non te ne accorgi ma sono ancora lì, e non importa quanto Simone De Beauvoir, Goliarda Sapienza e Virginia Woolf ti sia entrata sotto la pelle, quegli amori restano, sempre.

Lo sanno Giovanna, Lara, Carla e Silvia, le quattro piccole donne di Volevamo essere Jo, che dal loro primo Natale insieme si contendono l’eroina di Louisa Alcott, ciascuna per un motivo diverso, ciascuna per un motivo egualmente autentico. Jo che vive per leggere e scrivere, Jo il maschiaccio che si arrampica e corre dappertutto, Jo dal cuore tranquillo e saggio, Jo su cui si può sempre contare. Ciascuna di loro è un pezzetto di Jo. Lo è nei passatempi di bambine, di quei “tempi andati” in cui erano a disposizione molte meno Barbie e molta più creatività, e a cui si unisce l’immancabile Laurie, Edoardo, il figlio del portinaio. Lo è nel primo pic nic senza i genitori, lo è nei battiti di cuore dell’adolescenza, lo è nelle litigate e nelle riconciliazioni. Lo è quando ciascuna di loro, Laurie/Edoardo incluso, consegna a una busta chiusa il sogno di sé. Lo è, ancora, venticinque anni e innumerevoli libri dopo.

Ho un’idea – disse Edoardo. – Perché non scriviamo i nostri sogni e come ci immaginiamo nel futuro su un foglio, lo chiudiamo in una busta e, tra vent’anni, ci rivediamo e apriamo la busta per confrontarla con la nostra vita? Chissà se avremo realizzato i nostri sogni o fatto altre cose.

Lo siamo noi. Quanti Natali sono passati, dall’ultima volta che hai letto Piccole donne? Cosa hai portato con te, nel baule dei ricordi? Cosa vorresti ritrovare, oggi, aprendolo? Io, le parole che ho scritto all’età di Jo e che ho buttato via, tutte. Le ho ripensate spesso, leggendo questo libro. Volevo essere Katharine Hepburn. E tu?

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