Un libro per l’alluvione.

In occasione dell’uscita della raccolta “Undici per la Liguria” a cura di Marcello Fois, undici scrittori liguri hanno messo a disposizione le proprie penne per contribuire, con ciò che sanno fare, alla causa degli alluvionati. Due delle undici penne, le puoi trovare a Officina Letteraria. Le ho intervistate e ho restitutito quello che è emerso in questo post.

Intervista doppia:

Ester Armanino e Bruno Morchio raccontano dell’evento dell’alluvione attraverso la narrazione di una crisi sentimentale. Comodità, beni irrinunciabili, routine. Solitudine, incapacità di cambiamento, incomunicabilità. Sicurezza, che non è sinonimo di felicità. Detriti della relazione tra due persone e di quella tra loro e le Istituzioni della città. La città durante l’alluvione è come un “cadavere in putrefazione” (Il postino suona sempre due volte), “il diluvio, spietato e indifferente, non aveva fatto altro che portare a galla la verità” (Il postino suona sempre due volte).”Tra i detriti accumulati un po’ ovunque mi sembra di scorgere le nostre cose. Tu scuoti la testa e mi rassicuri. Ci assomigliano ma non sono le nostre” (Nessun rischio).

Detriti della relazione tra due persone e di quella tra loro e le Istituzioni della città.

Ho chiesto ad entrambi com’è nata l’idea di raccontare il disagio sociale anche attraverso quello privato-relazionale.

Ester Armanino: “Per me è inevitabile partire dall’esperienza personale sempre e comunque. Non riesco a orientarmi nel generale se il mio occhio prima non coglie i dettagli, le pieghe anche più trascurabili del reale e delle relazioni. L’alluvione ha travolto la città, nella città c’era una coppia: sono partita da qui. Da come avevano arredato casa, dai loro gesti e da ciò che tradiva la presunta solidità del loro rapporto. C’è un racconto bellissimo di Amy Hempel che s’intiola Nella vasca e inizia così: “Il mio cuore – credevo si fermasse. Così ho preso la macchina e sono andata a cercare Dio”; un esempio magistrale di come da un piccolo dettaglio, il battito del cuore percepito nella vasca piena d’acqua, si passi alla dimensione di una macchina più grande e poi a quella indefinibile di Dio, in due sole frasi.”

Bruno Morchio: “È nata dalla realtà, dalla mia esperienza personale. In coppia succede di litigare e la trattoria, la Vespa, l’ora in cui sono passato dal luogo dell’alluvione sono un racconto autobiografico. Anche l’idea dell’altro fango, quello mediatico, corrisponde alla realtà. Per fortuna, il resto è fantasia. Il senso di morte, di dissoluzione che accompagna eventi come questi, risulta più efficace se viene associata a un elemento soggettivo, privato.”

Poi chiedo loro qual è, se c’è, la differenza tra la lettura della società che danno gli scrittori attraverso la narrazione e quella di coloro che, invece, ci parlano della crisi sociale e politica senza la mediazione dello storytelling (giornalisti, politici). In pratica:

Rispetto alla cronaca, il messaggio dello scrittore arriva al lettore in modo più intimo e personale, quindi più efficace?

Ester Armanino:“Abbiamo un bisogno incommensurabile di storie, questo è appurato. Io non sono una grande consumatrice di serie televisive, ma la maggior parte delle persone che conosco sì, per loro è come una droga, come per me lo è rileggere periodicamente i libri della mia infanzia. Fabrizio De André ha detto che scriveva “per il bisogno di sentirsi protetto da una storia”, pensiero altissimo che onoro e condivido. In un mondo stracolmo di fatti e informazioni usa-e-getta, le storie hanno il meraviglioso potere di condurci al riparo dal ricatto mediatico, da quel sentirci in dovere di ospitare un’opinione a tutti i costi. Il mondo filtrato da una storia non cambia, ma forse ci coglie più preparati, perché ci siamo concessi il tempo di riflettere attingendo a un immaginario preesitente, archetipico. Anche quando la storia è dolorosa, cruda, non importa: siamo vulnerabili, ma protetti. Abbiamo l’antidoto.”

Bruno Morchio: “Credo dipenda dalla bravura dello scrittore o del giornalista. Un buon reportage di cronaca può efficacemente documentare un evento tragico come sono state le alluvioni a Genova (in effetti il titolo del mio racconto dovrebbe essere cambiato: il postino ha suonato tre volte). Però non c’è dubbio che il messaggio “mitopoietico” (narrazione, poesia epica o lirica) ha il potere di raccontare l’esperienza del vissuto, mettendo a nudo la soggettività di coloro che sono coinvolti e, attraverso il meccanismo dell’identificazione, attivando le emozioni del lettore. A chi direbbero qualcosa le pietre di Troia se non avessimo letto l’Iliade?”

Proseguo nell’intervista doppia: il filo conduttore di tutta l’antologia sembra essere il rapporto tra la Legge dell’uomo e quella della Natura.

Gli scrittori potrebbero dirsi coloro che riescono ancora a vedere e a rispettare la Bellezza del mondo? A “restare umani”?

Ester Armanino: “Più che bellezza, direi che gli scrittori indagano la banalità del mondo. Tendono a cogliere lo straordinario nell’ordinario, a rivalutare il banale nelle nostre vite come qualcosa di prezioso e importante. E vale anche il processo contrario: attraverso le parole raccontare ciò che ha avuto una portata straordinaria nella vita di molti e che sarebbe impossibile descrivere se non riconducendolo alla sfera personale, ai dettagli apparentemente banali e ordinari delle singole esperienze.”

Bruno Morchio: “Gli scrittori, quando ce l’hanno, posseggono una dote: la capacità di scrivere, cioè di tradurre in parole il vissuto proprio e altrui. Questo è già molto e io mi accontenterei. Non credo che abbiano altre facoltà carismatiche, né che riescano a vedere più lontano degli altri.”

Specialmente in Nessun rischio la protagonista osserva la ricostruzione della città in seguito all’alluvione con una sorta di desiderio (“Noi viviamo al terzo piano (…). Al terzo piano non corriamo alcun rischio“), vorrebbe la stessa possibilità di rinascita anche per se stessa e per la sua relazione. Questo mi ispira l’ultima domanda:

La crisi puó essere una “benedizione” se porta a un cambiamento sperato? È questo il tipo di “speranza” che i vostri racconti vogliono sussurrare al lettore?

Ester Armanino: “Sì, a patto che – come diceva Marcello Marchesi – la morte ci trovi vivi. Perché ogni tanto bisogna correre il rischio di cambiare le cose, “andarsela a cercare”. Altrimenti accontentiamoci di sopravvivere.”

Bruno Morchio: “Credo che la teoria delle catastrofi abbia sostenuto qualcosa del genere. Del resto la storia ci insegna che i sistemi economici e politici non riescono a uscire dalle crisi strutturali se non attraverso la guerra, che delle catastrofi è probabilmente la peggiore. Da qui però a dire che guerre e alluvioni sono una benedizione ce ne corre. La verità, secondo me, è che quando si verificano certi eventi tocchiamo con mano la nostra impotenza, i limiti del nostro sapere e del nostro potere. E, purtroppo, riconoscerlo è talmente doloroso che preferiamo prendercela con qualcuno, agitare cappi e invocare gogne. Succede sempre così: quando scoppia la peste dobbiamo cercare gli untori.”

Appuntamento in libreria.

Undici per la Liguria” sarà presentato a Genova il prossimo lunedì 9 Febbraio alle ore 18 presso la libreria L’amico Ritrovato di Via Luccoli 98r. Ci vediamo lì.

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