Terzo racconto del nostro laboratorio estivo di Apricale 2016.

Un gioco di ruolo narrativo durato cinque giorni.

Ciascuno dei personaggi, delineati con una sorta di “binomio fantastico”, aveva il compito di scoprire e raccontare la storia di uno degli altri personaggi. Come? Scopritelo leggendo il racconto della pittrice francese!

La pittrice francese (oppure no) e il cavaliere inesistente (oppure no)

di Annalisa Soldà

Voici l’histoire. Sono sospesa nell’aria, da questa terrazza si vedono solo le cime delle colline.
È un paesaggio diviso a metà. Metà verde e metà azzurro. Mi trovo nel verde di questa tavolozza. Bastarebbe una leggera pennellata verso l’alto… et voilà,un piccolo spostamento del pennello verso l’alto e sconfinerei dove i colori si mescolano, sarei prima in un vert-bleu, poi in un bleu un po’ sporco di verde e poi in un bleu assoluto. Il verde è tutto intorno al paese. Lo abbraccia come una cornice. Mi sporgo dal parapetto di ferro. Guardo giù. In basso è grigio pietra: strade, muri e tetti si confondono.

Il sole colora di giallo solo la piazza e gli ombrelloni dei ristoranti. Fra i turisti seduti ai tavolini, una sagoma di ferro con un pennacchio in cima. È un cavaliere rinchiuso in un’armatura. In molti si voltano a guardare, ma nessuno lo ferma per sapere la sua storia.

Mon Die! Je dis, se pa possible un chevalier con l’armatura e tutto il resto cosa ci fa qui ad Apricale?

Dunq je attend, per vedere come se la cava.
Una nuvola fa sparire il sole, la piazza diventa bianca, poi all’improvviso ritorna gialla.
Il cavaliere è fermo in mezzo ad una chiazza di sole che si spegne e si riaccende.
Decido di capire. Lo raggiungo, è alto come me. Gli dico: “Bonjour. La posso aiutare?”
Lui non si muove. Mi avrà sentito? Come arrivano i suoni dentro un elmo? Allungo una mano per bussare sull’armatura. Una voce sottile deformata dal riverbero del ferro che la contiene, mi parla.
“Mi perdoni se non mi volto a guardarla ma è difficile per me rimanere in equilibrio, se vado in avanti nessun problema, se mi volto rischio di cadere, può venire davanti all’elmo per cortesia?”
Non è il tipo di voce che mi aspettavo da un cavaliere, ma non glielo dico per non sembrare scortese, dato che la cortesia è uno dei valori a cui i cavalieri tengono molto.
Sono davanti a lui e muovo una mano per salutarlo.
Ca va bien?” Gli chiedo.
“Mah!?!” mi risponde e non dice altro.

Lo guardo, so che mi sta guardando. Resto in attesa per qualche minuto, poi di allontanarmi. Mi chiama.

“Aspetti. Credo di sì. Di avere bisogno di aiuto. Vede, il mio è un problema singolare.”

“Aspetti. Credo di sì. Di avere bisogno di aiuto. Vede, il mio è un problema singolare. So di essere venuto qui mosso da alti ideali, per portare a termine una missione. Ma, ecco, il mio problema è che non ricordo.”
“Non ricorda?”
“No. Non ricordo la missione.”
“E tutto il resto?”
“Neppure.”
“E il suo nome?”
“Nemmeno.”
“Bel nome. Se original!”
“No. Nemmeno non è il mio nome, o almeno credo, il mio nome non lo ricordo.”
“Capisco.”
“Davvero?”
Biensure. Ho il suo medesimo problema. Ma dato che non posso far nulla per me vediamo se posso fare qualcosa per lei. Per esempio l’elmo. Potrebbe toglierlo così ci sarebbero più possibilità che qualcuno la riconosca.”
“Ho già provato. Non c’è modo.”
“Ai ai ai… Mi faccia pensare. Un fabbro. Me ui. Il fabbro se la solution!”
“No. No. Non voglio.”
Pourquois?”
Ho paura.
“Ma non è da lei. Un cavaliere che ha paura di un fabbro?”

“Ma non è da lei. Un cavaliere che ha paura di un fabbro?”

“Beh, ho paura.”
“Se il fabbro non va bene allor, proviamo con qualcos’altro. Qualche elemento che potrebbe aiutarci. Che cos’ha lì?”
“Questo?”
“No. Non l’alabarda.”
“Questo?”
“Nemmeno lo scudo. No. Che cos’ha nella mano sinistra? Un manuale? Una mappa?”
“No. È un libro. Di poesie.”
Se magnific! Mi fa dare un occhiata?”
Lui senza dire nulla allunga il braccio verso di me, io prendo il libro, sposto una sedia e mi accomodo di fronte a lui. La copertina è di cartoncino ruvido di un celeste sbiadito con il titolo scritto a caratteri di colore nero che riproducono una scrittura in corsivo: “Poesie per una sposa” di Augusto Pontini. Lo sfoglio. Una dedica. La leggo ad alta voce: “A te. A nessun altro. Solo a te. Augusto.” Alzo lo sguardo verso il suo elmo e dico: Se Facil! Sei Augusto!
“Mmmh… dici?”
“Ma sì. Sei Augusto adesso dobbiamo solo capire a chi hai dedicato le poesie in modo che tu possa consegnarle alla tua amata. Era questa la tua missione.”
“Ok. Ma come?”
“Leggiamo le poesie. Leggo la prima”

A volte chiudo gli occhi.
I miei pensieri come rondini
incrociate in voli sciocchi
Il cielo ha il tuo colore
Nel celeste, mio amore
Si rinnova il mio ardore
Nel celeste voglio stare
Se tu mi vorrai amare.

Chiudo il libro. Penso di avere intuito il nome della donna a cui sono dedicate le poesie. “Celeste.” Gli dico. “Bisogna cercare Celeste.”
Mi alzo dalla sedia. Andiamo.

Le strade sono strette, percorse dal vento che sale e che scende veloce su e giù. Domandiamo ad uomo che sta giocando a pallapugno: Mi scusi conosce Celeste?
Domandiamo a una donna che ha un viso scolpito e un fazzoletto legato in testa.
Domandiamo e domandiamo, ma questo paese è un rompicapo, si sale, si scende, si fanno scale, si volta a destra e a sinistra e alla fine a forza di camminare ci si ritrova da dove si è partiti.
Inseguiamo il rumore di un tagliaerba, io raggiungo l’uomo e gli domando. Lui mi dice: “Sì, la conosco.”

Inseguiamo il rumore di un tagliaerba, io raggiungo l’uomo e gli domando. Lui mi dice: “Sì, la conosco.”

Arriviamo ad una porta di legno piccola e bassa come tutte le altre porte del paese. Sopra la porta in rilievo due cavalieri con la spada sguainata, sul muro una cassetta della posta bianca, su cui è disegnata una nave rossa e blu con la ciminiera nera, sulla prua un nome: CELESTE.

Busso. Il Cavaliere è accanto a me.
Apre la porta una donna ha due occhi neri e luminosi come la lava quando si raffredda e diventa dura. “Felicita! Felicita sei tu?”
Le chiedo scusa per l’intrusione e le domando se è Celeste.
“Sì. Sono io e qui dentro”, tocca l’armatura, “c’è mia figlia”.

Il cavaliere vorrebbe abbracciare la donna, ma è un mucchio di ferro pesante che cigola.
Chiede alla donna se può levarle l’elmo, perché vuole guardarsi in uno specchio.
La donna le dice “ma come non ti ricordi? C’è la chiave. La punta dell’alabarda. La estrai ed è la chiave per aprire la leva e sollevare l’elmo. Non ti ricordi quante volte hai giocato con papà al cavaliere e la principessa e lui si travestiva e tu lo liberavi aprendo l’elmo?”
La guarda di nuovo.
“Quando è stata l’ultima volta che sei venuta a trovarmi? Due mesi fà?”
Vede il libro. Non dice più nulla e arrivano le lacrime.

Vede il libro. Non dice più nulla e arrivano le lacrime.

“Domani è il 25 Marzo. Lui mi faceva sempre una sorpresa per quella data. Ma lui non c’è più da molto tempo. Da quando il suo mare se l’è ripreso. Le navi mercantili sono grandi, ma quando il mare si arrabbia non si può nulla contro di lui. Nulla.”

Si asciuga il viso. “Si accomodi signorina. Venga.” Dice a me.
La casa è una stanza lunga e stretta. In fondo dietro la tenda di merletto intravedo un balcone e il verde.
“L’armatura di papà, ma come ti è venuta in mente?” e aiuta il cavaliere a liberarsi dalla corazza.
Felicita ha la schiena bagnata, il viso arrossato, i capelli scuri e gli stessi occhi di sua madre. È più giovane di me.
Una lacrima si stacca dai miei occhi come una goccia da un filo della biancheria quando smette di piovere. “Mercì de tout, Madame Celeste e Felicita. È stato bello. Tante buone cose. Vado.”
Felicita vuole accompagnarmi in piazza.
Una accanto all’altra proseguiamo per la discesa di pietre piccole, tonde e lisce.

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