Officina Letteraria e UDI.

“Una donna, un giorno” è il titolo del reading che Officina Letteraria e UDI- Unione Donne in Italia – hanno deciso di ideare e mettere in scena presso la Biblioteca Margherita Ferro, il 6 novembre 2015. Ognuna delle partecipanti, in tutto sedici, ha scritto un racconto che aveva come traccia la descrizione di una giornata di una donna oggi. Le parole delle scrittrici partecipanti sono stati accolte presso la sede dell’Udi e lì hanno trovato orecchie coscienti e curiose, entusiasmo e possibilità di confronto. La sede dell’UDI di via Cairoli 14/6  porta appesi alle pareti i manifesti delle battaglie femministe che settant’anni fa iniziavano a diventare fondamentali nella storie delle donne di questo paese: aprire le porte alle parole delle donne oggi, è stato un grande aggiornamento del file, uno sguardo trasversale che ha connesso tutte, lettrici e ascoltatrici, ad una radice comune, dalla quale attingere per interpretare ogni singola posizione. E cercare di capire. Aggiustare un po’ la rotta. Farsi delle domande. Trovare delle risposte, nelle esperienze dell’altra. E soprattutto, forse, sentirsi comprese e rispettate, oggi, nel proprio essere diverse, una dall’altra: oltre ai clichè, oltre alle definizioni. 

Un lunedì

la giornata di Elisabetta

Non voglio svegliarmi, non ancora. Devo finire il mio sogno.

La sveglia si insinua maligna, a volte con una musica dolce piena di promesse; quasi sempre, invece, snocciola un concentrato di notizie volte a suscitare malumore. La disgrazia del giorno, l’aumento delle tasse, la dichiarazione insensata e autocelebrativa del politico di turno.

Mi alzo, già consapevole che anche oggi arriverò in ritardo a lavorare. Del resto, non posso uscire di casa senza aver fatto colazione, cambiato idea un paio di volte su come vestirmi, dato da mangiare al gatto, controllato che le finestre siano chiuse, trovato chiavi di casa e cellulare, che si nascondono sempre quando li cerchi.

Speriamo che la Capa sia di buonumore, oggi, altrimenti saranno rimbrotti generalizzati per tutti. Non che mi importi tanto, ma anche questo peggiora il tono dell’umore.

Mentre lavoro, cresce sempre di più la sensazione di pestare l’acqua nel mortaio: non c’è una fine né un inizio, ma soprattutto nessun ritorno su quello che fai.

Pazienza, che tanto mi tocca questo fino alla vecchiaia. Intanto penso già a quello che devo fare nel tragitto verso casa e poi a casa. Comprare il caffè solidale, prelevare i soldi al bancomat, far la spesa sotto casa, controllare le scadenze, pagare on line la multa per divieto di sosta di mia figlia, ritirare il bucato asciutto e metterne su un altro, pensare a cosa faccio per cena, sedermi per un quarto d’ora e poi mettermi a cucinare.

Incombenze nel vero senso del termine, che gravano sulle mie spalle costantemente contratte.

È un lunedì, ma potrebbe essere anche martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e, parzialmente, anche domenica, giornata in cui ormai mi tocca la visita alla suocera ultraottantenne, che, ostinatamente, vuol restare a casa sua da sola. Così mi ha delegato, bontà sua, la gestione della sua vita, badanti e relative bizzarrie comprese.

Sabato no: finalmente posso sognare fino alla fine e concedermi tutto il tempo che voglio.

Il tempo è scivolato via come una goccia di pioggia sui vetri, e a quasi sessant’anni – che pensiero orribile – a volte mi chiedo se valga la pena metterci tanto impegno.

Poi penso alle mie bambine, che sono pezzi del mio cuore e dico che sì, ne è valsa la pena.

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