Tra i diritti imprescrittibili del lettore, dopo il diritto di spizzicare e prima di quello di tacere, Pennac inserisce proprio questo

il diritto di leggere a voce alta

Perché? Semplicemente perché è meraviglioso.

Sentirsi raccontare una storia è un piacere antico, che molti di noi hanno sperimentato da piccoli. Raccontare una storia ad alta voce, dare un suono alla parola scritta (da noi o da altri), attinge a quello stesso angolo delle emozioni da cui tiriamo fuori il ricordo del nostro primo libro: ti ascolto e ti racconto, c’era una volta e c’è ancora. Quando leggiamo un libro a un bambino, se siamo fortunati, si crea uno spazio speciale in cui si accomodano tutti, chi legge, chi ascolta, il profumo delle pagine e i personaggi di carta: è una poltrona di nuvola in cui si sprofonda col sorriso. Ma perché smettere quando si cresce?

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Zoe Guerrini cc licensed

I Cantastorie parlavano a tutti, grandi e piccoli. Erano artisti di strada che si spostavano da una piazza all’altra e raccontavano storie antiche e nuove accompagnandosi con uno strumento musicale, una chitarra di solito. Su un cartellone illustravano le principali scene del racconto, che andavano a segnare col dito. Era semplice, e tutti stavano ad ascoltare. Erano cantastorie anche i rapsodi greci, i trovatori e i trovieri, per non parlare di tutte le figure tradizionali della cultura orientale: le Chitrakar, cantastorie-pittrici indiane, o i cantastorie giapponesi, che si spostavano in bicicletta con le loro kamishibai, valigie-teatri viaggianti.

È un fatto che la letteratura è nata prima della scrittura. E che leggere ad alta voce fa bene. In molti paesi sono sorte iniziative per la promozione della lettura ad alta voce, negli Stati Uniti, in Germania, in Gran Bretagna, e anche in Italia con Nati per leggere.

Ma, ancora, perché limitare questo piacere ai primi anni di vita? E infatti c’è chi a smettere non ci pensa neanche. Sono sempre più diffuse le pratiche del reading e dello storytelling, rivolte a chiunque voglia ascoltare, senza discriminazioni di età.

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C’è anche chi legge ad alta voce per chi non può leggere da sé. Annalisa Soldà mi racconta la sua particolare esperienza di lettrice tra quattro mura, come si definisce: il pubblico so che ci sarà, ma non lo vedo davanti a me quando registro. Annalisa presta la sua voce per creare audiolibri, la sua esperienza mi entusiasma e mi faccio raccontare. Esiste una lettura zero, che è la prima lettura di un testo ad alta voce, mi dice. Durante la lettura zero, Annalisa si ascolta e valuta il ritmo, il volume della voce e il tono. Dove poter fare una piccola pausa per riprendere fiato e se la melodia – la chiama proprio così, la melodia – è quella giusta oppure ci sono stonature. Soprattutto mi concentro sulle emozioni che ho ricavato dal testo, come posso farle mie e trasmetterle:

più anima ci metti e meglio viene la lettura

Dario Apicella, animatore culturale, narratore e attore, gli audiolibri li ascoltava da piccolo, quando ancora non si chiamavano così ed erano un prodotto destinato unicamente ai bambini che ancora non sapevano leggere. Mi affascinavano le voci degli interpreti, mi racconta, famosi attori di cinema e teatro come Gabriele Lavia, Oreste Lionello, Ottavia Piccolo… Quelle voci mi davano piacere, lo stesso piacere che provavo nell’udire la voce di mia madre che cantava vecchie canzoni facendo i lavori di casa. Ed è così che, dopo la formazione teatrale allo Stabile di Genova, questo interesse si delinea e si trasforma in desiderio: mi sono reso conto, continua Dario, che ciò che desideravo di più, quello che per me era veramente importante e necessario, non era il palcoscenico, ma leggere, ascoltare e raccontare storie. Se quando sarà grande (tra poco, dice) gli chiederemo che lavoro fa, potrà risponderci: racconto storie, sono un narratore.

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È il suono, la prima cosa che arriva

dice Dario Manera nel presentare il suo corso Ad alta voce , che si terrà presso Officina Letteraria a partire da quest’anno. Dario è attore, diplomato alla Scuola di Arte Drammatica Piccolo Teatro di Milano,  e la sua esperienza di teatro gli ha insegnato che la parola deve muoversi non solo verso l’orecchio altrui, ma anche verso la mente e la memoria di chi ascolta, spiega. Una buona lettura, aggiunge, è in grado di toccare gli altri con la voce, di rianimare la parola scritta nel passaggio al suono, andando a recuperare la stessa emozione che l’aveva concepita. E le pause? Le pause non sono assenza di parole, danno respiro al discorso. E a chi legge. Bisogna poi tenere conto della modulazione tonale, dei volumi, del ritmo, la dizione e una corretta respirazione. Siamo tutti dei buoni “raccontatori”, dice Dario, si tratta di imparare a recuperare abilità che in qualche misura già possediamo.

… E sono passata dall’altra parte!

– Dall’altra parte di cosa?

– Della cicatrice! Dall’altra parte del cielo! Sono entrata! è proprio questo che ti volevo raccontare. Papà, sai cosa c’era dall’altra parte del cielo?

– No, dimmelo. Dimmi subito, amore mio…

(Daniel Pennac, Il giro del cielo)

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