di Michele De Negri.

Ho fatto da cavia.

Ed ha funzionato, per quanto mi riguarda. Sono stato invitato alla lezione sperimentale de L’allenamento dello scrittore, un nuovo corso che prenderà piede (letteralmente) a Officina Letteraria a partire dal 3 Dicembre.

Mi sono presentato in abbigliamento poco consono all’attività ginnica, e ho apprezzato di poter consumare il riscaldamento comodamente il felpa e jeans. Niente tute o scarpe costose: e questo è il primo punto a favore dell’allenamento letterario.

Abbiamo avuto un assaggio di tutti i 4 moduli che comporranno il corso: bioenergetica, relazione, suggestioni video e lavoro sulla voce.

Ci riscaldiamo. Muoviamo il corpo, ci inseguiamo e ci imitiamo. Respiriamo.
Dalla mente al corpo.

A metà degli esercizi, il gruppo si divide in due: metà è isolata, e non messa a conoscenza delle azioni degli altri atleti. Io sono in questa metà. Ci richiamano nella stanza, e assistiamo a una performance. Una mimesi, in un certo senso, messa in atto dagli altri partecipanti: cercano di emulare ciò che hanno appena visto lontano dai nostri occhi. Guardiamo gli atleti, che agiscono ciò che hanno visto: che hanno interpretato.

Dal corpo agli occhi.

Ora noi interpretiamo ciò che abbiamo visto. Copiamo una copia, traduciamo una traduzione.
Dagli occhi alla mente, di nuovo.

E ora il passaggio più sorprendente: dobbiamo scrivere. Certo, perché siamo pur sempre a Officina Letteraria. “Scrivete cinque righe, non di più, su ciò che avete visto. Su ciò che avete capito”. In questo momento trascriviamo la nostra traduzione, che è a sua volta l’interpretazione compiuta da un’altra persona, di qualcosa che non abbiamo visto. È uno studio dell’ignoto guidato, che va dai piedi alla carta.
Dal corpo, agli occhi, alla mente, alla penna. E ritorno.
Dobbiamo ridare corpo alla mente e alla scrittura, perché è un allenamento, ed è fisico. Quindi leggiamo; dalla penna agli occhi di chi legge, alla voce che dà corpo alla nostra mente. Il movimento di cinque persone, che diventa cerchio, poi occhio che guarda, poi mente che traduce; poi occhio che vede, mano che scrive, bocca che legge. È un circolo piacevole nel quale perdersi. E il momento della lettura ad alta voce è davvero catartico e necessario: per sentire vibrare nell’aria ciò che abbiamo provato.

Una nota di merito va al sottofondo musicale. All’età di quindici anni frequentavo un corso di disegno. Il primo giorno, la direttrice ci disse: “noi lavoriamo con la musica; non perché crediamo che possa essere di ispirazione, ma perché aiuta a focalizzare”. La frase mi rimase molto impressa, perché sfatava il mito di mus(ic)a ispiratrice; ma è una frase vera. La musica concentra, dà un inclinazione ai nostri pensieri.
Respirare, guardare, scrivere e leggere sopra le note di David Lang è certamente un’esperienza piacevole. La musica bussa alle orecchie e arriva nella testa, dove si stanno mescolando tante cose: movimenti, visioni, interpretazioni, scritture. La musica inclina il piano, e fa scontrare tutto, si unisce in un’unica massa critica. E esce qualcosa, perché è troppo per poter stare stretta tra le pareti del cranio.

Dal corpo, agli occhi, alla mano, per le orecchie alla voce.

Ho partorito un dialogo tra una mano e una testa. Non so se sia una buona cosa, ma è uscita. Meglio fuori che dentro, dice Shrek, e sono d’accordo. Le parole vanno sudate, come le tossine e liquidi durante una maratona; la parole vanno espulse con un allenamento: quello dello scrittore.

Maggiori informazioni su L’Allenamento dello Scrittore!

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