book-heart

Il mio primo libro è stata una rielaborazione per bambini dell’Odissea. Non il primo libro che ho letto, ma il primo che ha avuto un significato. Mi affascinava il personaggio di Atena: astuta, coraggiosa, indipendente, probabilmente bisessuale, una mosca impertinente nel cervello di Zeus che dovette farsi spaccare il cranio per lasciarla nascere.

Ognuno di noi lo ha, un primo libro. E un secondo, un terzo, un quarto. Per Giorgio Fontana e Marco Missiroli sono stati, rispettivamente, le storie di Topolino sceneggiate da Rodolfo Cimino e Ti prendo e ti porto via di Niccolò Ammaniti. Non un piacevole ricordo d’infanzia o dell’adolescenza, ma il primo mattoncino che compone la loro identità di scrittori. Di lettori.

Hanno scelto questo tema, nel presenziare al Festival della Mente di Sarzana: regalare ai fan, ai lettori, a chi li conosce di sfuggita o per nulla, i libri che hanno fatto di loro i lettori (e gli scrittori) che sono. I mattoncini del percorso letterario che li ha portati fin qui. I loro perché. Perché quella certa opera. Perché quella particolare attenzione alla forma, alla lingua. Perché la vita o la morte di quell’autore li ha colpiti così tanto. Perché quell’opera, quello scrittore, e non altri. Perché io Kafka e tu Carrère. Perché io Philip e tu Joseph (Roth). Perché Il vecchio e il mare e non Addio alle armi. Perché gli scrittori che ti hanno ispirato sono tutti uomini. Perché molti si sono suicidati. Perché alcuni, quando hai la fortuna di incontrarli, ti risultano così antipatici che vorresti non leggerli mai più. Perché, di altri, sei diventato amico.

Li ascolto e mi chiedo quanto ci è voluto, per tirare fuori dal cilindro dieci libri (o giù di lì) a testa. Se sono venuti fuori di getto, d’istinto, o dopo lunghe peregrinazioni tra gli scaffali di casa, i taccuini, l’account su aNobii finché lo hanno tenuto aggiornato. Ammesso che l’abbiano mai avuto.

Li ascolto e mi viene voglia di comprare tutti i loro libri e cercare una traccia, la traccia di quella volta che hanno pianto mentre il personaggio cieco di Carver disegnava una cattedrale. Di quella volta che hanno ringraziato Buzzati di aver scritto d’amore, mentre i grandi del suo tempo lo ritenevano un tema di poca dignità. Di quella volta che si sono fidati di Bernard Malamud e gli è andata bene, perché Malamud è uno di quelli che non tradisce mai il proprio lettore.

Li ascolto e ripenso ad Atena, che questa cosa di Atena la vorrei raccontare a qualcuno. Mentre nella mia testa al mattoncino omerico se ne affianca un secondo, e un terzo, e un quarto.

Li ascolto e credo che non ci sia modo più tenero per conoscere meglio una persona. Farla sedere e raccontare. Quale libro ti ha ispirato un viaggio, quale ti ha fatto venire voglia di scrivere, quale ti ha esaurito la scorta di fazzoletti, quale ti ha fatto addormentare alle tre di notte senza renderti conto che era passato tutto quel tempo. Io uno dei miei te l’ho detto, e chi mi conosce sa che non ho la confidenza facile. Vorrei tanto sapere i tuoi. Fai con calma, riflettici, dimmene uno, cinque, otto o dieci. Dimmi perché. Mentre lo dici, emoziónati. Altrimenti non funziona.

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