Bianca da morire: recensione del romanzo di Elena Mearini

Si dice che i giovani d’oggi sono quello che sono per colpa di qualcuno, o di qualcosa. Di chi, esattamente? È forse colpa dei genitori, dei nonni, della società, dei reality show, del cellulare regalato troppo presto, delle maestre che si fanno dare del tu? Difficile rispondere. Cambiamo domanda. Esiste davvero una colpa? Ogni età ha i suoi malanni. Il malanno di Bianca è tipico di buona parte degli adolescenti: credere che ogni cosa che avviene sia irrimediabile. Bianca vuole fare l’attrice, e l’articolo non è scelto a caso: non vuole essere un’attrice, vuole essere l’attrice, la stella più luminosa di tutte, che così luminosa non ce n’è mai stata. Bianca crede che se non realizzerà ora questo sogno, ora, nei suoi acerbi sedici anni, la sconfitta sarà irrimediabile, non lo realizzerà mai. Perché non esiste un dopo, per gli adolescenti, la vita è un oggi senza fine, e oggi è suo fratello Valerio la stella del cielo di famiglia, Valerio e le sue scarpe da calcio, Valerio e le sue battute affilate, Valerio che mamma e papà hanno occhi solo per lui. «Anche mamma e papà mi guarderebbero con la stessa passione, ne sono certa. Se solo Valerio smettesse di esistere». Bianca cerca allora approvazione in tutti gli altri occhi del mondo, specchi in cui riflettere la sua immagine di diva, la sola che comprende. Bianca recita così bene che tutti le credono: a Gabriele, il nuovo arrivato, non sembra vero che lei, così bella, scelga proprio lui per farlo la prima volta, scelga proprio lui come alleato per avvicinarsi al suo irrimediabile sogno. Bianca recita così bene che ormai, di se stessa, conosce solo la messa in scena. Ogni emozione, in lei, è irrimediabilmente frantumata: non c’è dolore, né rabbia, né felicità, né spensieratezza. Il provino all’Accademia d’Arte Drammatica e la premeditazione di un assassinio sono recitate con la stessa intensità. Ha un solo amore, Bianca. Una bestia, il lupo cattivo, l’incompreso delle fiabe, come è incompresa lei. Sogna di riscattarlo, mentre varca il primo passo nel firmamento delle celebrità. Scrive il monologo del loro amore eterno, e recitarlo è come respirare, per buona parte della storia, finché neanche quel respiro basta più. «Ho amato una bestia, nelle notti d’estate mi mordeva con le cinque punte di una stella». La storia di Bianca dura una manciata di pagine, ma capaci di far provare a chi legge tutte le emozioni che esistono: fai il tifo per lei, provi compassione, la disprezzi, la guardi dall’alto in basso, pensi che se l’è cercata, desideri per lei tutto il male possibile e subito dopo tutto il bene possibile, vorresti tornare indietro di qualche pagina e non aver pensato tutti quei pensieri, vorresti restituirle l’infanzia e farla ripartire daccapo,  che quei sogni lì non tornano più, dopo, desideri che all’irrimediabile si ponga rimedio. Neanche in questo c’è colpa. Perché Bianca è tutte noi, che da bambine ci mettevamo il rossetto della mamma e poi lo usavamo come microfono cantando davanti allo specchio. Bianca è noi, che guardavamo la televisione e volevamo entrarci dentro, e da là dentro guardar crepare d’invidia tutte le persone che ci hanno fatto del male. Bianca è noi, che a ogni mi piace ci sentiamo importanti, e quando in alto a destra della bacheca Facebook non c’è alcun quadratino rosso delle notifiche crediamo che il mondo si sia dimenticato di noi. Bianca è noi, è il limite che non varcheremo mai. Il lupo cattivo non mangia le persone perché è cattivo, ma perché è la sua natura: Bianca lo ha capito. Quello che non ha capito, non ancora, è che il lupo cattivo mai mangerebbe un suo simile. Bianca da morire, romanzo di Elena Mearini (Cairo Editore, 2016).