Domenica 25 settembre, contribuite ad arricchire la nostra giornata open day all’Edicolibro di piazza della Meridiana scrivendo un racconto breve ispirato dal binomio fantastico “Cinque” + “Cassetto”. Ci saranno letture dei binomi degli scrittori di Officina Letteraria Emilia Marasco, Ester Armanino, Sara Boero, Antonio Paolacci e di molti altri amici che stanno aderendo all’iniziativa. Come partecipare. Inviate una email a info@officinaletteraria.com o scrivete il vostro nome nell’evento su Facebook e noi vi metteremo in scaletta! Durante la giornata forniremo informazioni sui nostri laboratori in programma per il 2016/17. Edicolibro resterà aperto per il consueto scambio libri con i volontari di Officina Letteraria. Dalle 20:00 alle 22:00, apertura serale a cura di Collettivo Linea S. Info e FAQ: QUANDO: 25 settembre, 10:30-12:30 / 14:30-17:30; DOVE: a Genova in Piazza della Meridiana, presso Edicolibro; COME: il vostro racconto breve non deve superare le 4.000 battute e lo dovete portare già stampato; COSTO: è gratis, ma dovete prenotarvi; CHE COS’È un “Binomio Fantastico”? È un noto esercizio proposto da Gianni Rodari nella sua Grammatica della fantasia, il binomio fantastico si basa sull’associazione di due termini che non hanno nulla a che vedere tra di loro: il compito degli scrittori è quello di riuscire a legare questi due termini inventando una breve storia. Se piove: l’evento si sposterà nella vicinissima sede di Officina Letteraria in via Cairoli 4. Scrivete, iscrivetevi al reading e condividete la notizia!
Ecco i cinque racconti finalisti! Votate il vostro preferito per mezzo di un like alla foto corrispondente sulla pagina Facebook di Officina entro le ore 12:00 del 10 settembre 2016. L’autore o l’autrice del racconto con il maggior numero di voti vincerà un’iscrizione gratuita al Laboratorio di Primo livello “Grammatica delle Storie” 2016/17. Gli altri quattro finalisti potranno invece usufruire dello sconto del 15% sul costo del Laboratorio. Grazie ai numerosi partecipanti e all’amico Alberto Casiraghy per averci ispirato con il suo incipit. Buona lettura! “Ora di buio su un pianeta intraprendente” (Giulia Badano) Prima o poi entrerò nel cuore del mondo, ma lasciate almeno che mi presenti, così che la mia speranza a tinte fosche e amare abbia il privilegio dell’identità. Sono rinata circa quattro miliardi di anni fa dopo un’esplosione cosmica che ha sconvolto tutto. Non ho memoria di cosa fossi prima, probabilmente un pianeta come adesso, abitata da altri organismi che mi hanno amata e odiata fino al nebuloso collasso. Nella lenta ma costante dilatazione dell’universo ho vagato per lunghi eoni del tempo, senza meta, senza soluzione, in guisa di particella abbandonata a sé stessa ad oscillare per exametri indefiniti. Vita dura, quella della particella. I più massicci residui di materiale cosmico ti prendono a spallate per accaparrarsi il posto ritenuto migliore a loro unica discrezione, senza riuscire ad ammettere di essere più confusi di me. In realtà, in un mare di polveri bollenti, avevamo tutti perso l’orientamento e lo scopo della nostra esistenza, quale che fosse. E’ stato durante questa situazione di profonda incertezza e smarrimento che ho perso particelle a cui sentivo di voler bene. Annichilite dal calore infernale, hanno varcato la linea congelata e abbracciato il ghiaccio, scoprendo quanto quell’elemento possa essere magnifico e terribile e bastare di per sé. Una di loro si è guadagnata il nome di Nettuno. Dal canto mio, vagabonda errante e solitaria, non ho saputo scegliermi un angolo di universo senza prima chiedermi cosa volessi diventare. Ho impiegato meno tempo del previsto: qualche millennio, per sfiorare l’idea della completezza delle forme e dei climi. Nelle infinite pieghe del cosmo ho incontrato un granello brillante, circondato da un alone di argentata luce riflessa e discreta, con cui ho deciso di trascorrere il resto della mia esistenza a tre passi dalla nuova Fiamma che ci intiepidiva senza bruciarci. Io e il granello abbiamo trovato il nostro posto nello stesso isolato e cominciato a formarci al ritmo scandito dai suoi sorrisi un po’ sghembi, un po’ malinconici, dalle sue forme ciclicamente tonde, sbeccate, consumate, frizzanti, stanche. Crescendo accompagnata dai suoi umori mutevoli, ho dato forma all’esistenza, ho partorito terre e mari, ho innalzato montagne spruzzandole di neve, ho sguinzagliato il vento, ho addensato le nuvole e liberato il fulmine, ho rinfocolato il mio cuore con fluidi incandescenti e l’ho protetto avvolgendolo in mantelli solidi e compatti. Ho eretto templi ombrosi con radici, tronchi e rami, ho soffiato la sabbia su vaste distese di deserti ostili, ho generato microrganismi e vegliato sulla loro costante evoluzione. Anche sulla vostra. Così nudi. Senza denti aguzzi né artigli, senza ali per volare né branchie per immergersi, avete costruito armi, inventato scafandri per le profondità abissali e uccelli di ferro per solcare i cieli. Io ho amato la vostra astuzia, ho ammirato il vostro ingegno, ma ho sofferto nel vedervi ergervi a padroni miei e di voi stessi. Ho pianto lacrime di pioggia, mentre i vulcani hanno rovesciato la mia collera rovente. Mi sono spezzata gridando di dolore sotto scosse di terremoti violenti. Ho provato a vegliare su di voi, e quante vite ho visto accendersi e spegnersi, quanti passi ho sostenuto. Ma quante ruote, e chiglie, e rotaie, e trivelle e bombe mi hanno segnata. Quanto sangue ho dovuto bere e nascondere, quant’acqua ho dovuto accogliere per sentirmi pulita. Non so come faccio a essere così stanca e paziente, come sopporto di essere stata divisa in confini, tagliata da muri, frazionata da recinti e cancelli, a perdonare l’arroganza che vi rende indifferenti a ciò che calpestate. Prima o poi entrerò nel cuore del mondo, nel vostro cuore, e ricambierete l’amore che vi ho offerto senza pretese. Ma forse sarà tardi. Prima o poi vi guarderete indietro, e nella triste desolazione che avrete lasciato scoprirete l’impronta indelebile delle vostre colpe. “Orfeo ed Euridice” (Ilaria Carrozzo) Prima o poi entrerò nel cuore del mondo. “Si inizia scavando”, mi dicesti, seduta di fronte a me al tavolo della cucina, palpebre calde, girasoli al tramonto, il profumo di una bambina, le mani tese sopra la tovaglia ruvida come un’anziana cartomante, mostrandomi le unghie, tanto gialle da sembrare l’escrescenza dell’osso. Io cominciai da ragazza, grattando la porta di casa, impaziente di uscire come un cane d’appartamento, scattando fuori con una violenza nuova, la stessa di chi calpesta i gradini per raggiungere il proprio sedile in cima allo stadio. Le dita galleggiavano nell’aria, confuse, in attesa di impulsi. Fissavo atomi annoiati e scintillanti muoversi davanti alle pupille come nubili sospiranti a una festa. “Graffia le persone, i muri, le strade”. Le sillabe si attaccavano tra loro, mescolandosi, il tuo profilo era quello di una madre determinata che parlava con la voce di chi ha fumato l’ansia di essere schiacciata dal corpo morto di una vita che non ha mai sentito sua. Raggiungevo la scuola con l’energia rumorosa di un’onda, mi abbattevo su fiori che volevano essere forti, felpe e camicette orgogliose, ricordo che avevano profumi invincibili. Incidevo lettere sui banchi e li osservavo, rumorosi come canoni in una cattedrale durante una messa di Natale. “Lascia segni su tutto quello che vedi, solleva la superficie, delicatamente, come la corteccia di un albero, poi ruba un pezzetto dell’anima, sbriciolalo sui polpastrelli e usalo per tracciare il tuo rifugio, fuori di qui, perché in fondo scappare è trovare il proprio posto nel mondo, il tuo centro, il suo cuore, pulsante e chiassoso, rumore di zoccoli che ti porta via”, i tuoi occhi grandi, alieni, iridi blu scure ricordavano notti d’agosto sull’asfalto umido, ombre che