Di cosa siamo fatti. Emilia Marasco sulla mostra di Guido Zanoletti. Siamo fatti di molte cose. Siamo fatti degli spazi che abbiamo attraversato, dei libri che abbiamo letto, dei film che abbiamo visto, siamo fatti delle persone che abbiamo incontrato, compagni di viaggio o figure intraviste, corpi solo sfiorati, siamo fatti dei fantasmi che popolano i nostri sogni e dei personaggi che animano i palcoscenici delle storie che non abbiamo agito ma che, lo stesso, ci appartengono. George Perec scrisse il suo “Je me souviens” nel tentativo di comporre un elenco di ricordi comuni “Se non a tutti perlomeno a molti”. Anche Guido Zanoletti attinge a un serbatoio di ricordi fissati nella memoria e a un bagaglio di appunti visivi fissati con la macchina fotografica. A distanza di tempo assegna una nuova vita a spazi e personaggi – perfino a se stesso – una nuova possibilità e offre a chi si avvicina ai suoi teatri piani diversi di lettura e di interpretazione. “Ogni immagine è una sequenza di un interminabile storyboard, un film lungo come il filo della vita” Ogni immagine è una sequenza di un interminabile storyboard, un film lungo come il filo della vita, i personaggi entrano ed escono di scena, attraversano spazi diversi portando con sé l’enigma e l’ineludibile solitudine dell’esistenza, per questo li riconosciamo e ci riconosciamo in loro, anche se hanno il cappello, il bavero alzato, anche se sono di spalle o sembrano lontani. Guido Zanoletti è fatto di prospettive e geometrie, è fatto dell’arte di Hopper, di Tooker, di Hockney, è fatto di Oriente e Occidente, è fatto degli spazi industriali nelle periferie delle grandi metropoli e del teatro di Ionesco, di noir francese e di western americano, di treni nella notte e di Biennali di Venezia, di situazionismo e di narrative art, è fatto degli spazi dell’Accademia di Belle Arti dove ha dedicato una parte della sua vita a insegnare a tanti giovani la responsabilità e la libertà di essere artisti. — Vai all’inaugurazione della mostra dedicata all’opera di Guido Zanoletti.