di Marco Usai, racconto vincitore del concorso di Officina Letteraria “Prima o poi entrerò nel cuore del mondo” era la frase che si era fatto tatuare l’estate della maturità. Parole ad effetto poco sopra le natiche, un’esca a caratteri gotici da aggiungere al piercing al sopracciglio che incorniciava lo sguardo scuro, fermo. Anche quando sorrideva, per lo più se in compagnia di qualche bella biondina glitterata, ad Alex restava appiccicato agli occhi qualcosa di malinconico. Mi faceva pensare a “Boys don’t cry”, con quel sound triste-allegro, tipo “vita innegabilmente amara ma stiamo quieti che così deve essere”. Insomma era un viveur con qualcosa di rotto dentro. Probabile che nei momenti felici gli capitasse di inciampare nel ricordo del fratello. Gli aveva insegnato i rudimenti dello stare al mondo per poi abbandonarlo senza neppure un ciao. Gente molto legata nonostante la differenza di età, con la stessa frase impressa sulla pelle, come uno stargate per l’aldilà, o forse un memo sul giungere al nocciolo di quel frutto succoso che la vita può essere solo a vent’anni. C’è chi pensava fosse solo un buffone esibizionista Alex, io credo che semplicemente provasse a seguire quel dettame lasciatogli in eredità. Certe sere s’impossessava di lui una follia gaudente e rabbiosa che a stargli accanto la vita poteva sembrare un gioco infinito. Passavamo nottate a esplorare stradine deserte, mentre la città dormiva rubavamo caschi e specchietti per rivenderli a pochi euro. Mi sentivo libero mentre gli facevo da spalla nell’ennesima rissa che scatenava per futili motivi, eravamo immortali anche nel tornare a casa con il viso segnato o mentre improvvisavamo un rally nelle mulattiere sopra Genova a bordo dell’auto sottratta a chissà quale schiavo sfortunato. Eravamo i sovrani di un mondo popolato da comparse in bianco e nero, in noi l’anarchia assumeva un significato più di stomaco che d’idea, eravamo i soli ad esser vivi… Fino a che mio padre non perse il lavoro. Quella che sarebbe dovuta essere la mia estate indimenticabile divenne quella in cui appresi le regole del giogo. Trovai impiego in un discount in periferia, la mia vita venne scandita da turni e pause caffè, pranzi cronometrati e anima scherzata da frustrati dalla vita. Era brutto ma era necessario, lavoravo molte ore e molte non mi erano pagate ma non c’era altra via. Avevo perso le ali e il mondo intorno perdeva colore, uscivo sempre meno spesso, la stanchezza veniva a riscuotere il suo conto. Alex era sempre lo stesso cercava, il cuore del mondo mentre io sistemavo scatolette. Mi veniva spesso a trovare e mi piaceva vedere come fosse ancora indomito, lui che non aveva crucci. Non lo invidiavo, era lo stendardo della mia anima sopita e adoravo quando rispondeva maleducatamente a miei superiori che mi bistrattavano nelle tediose ore salariate. Era un potenziale cliente, poteva tutto e mi tributava indirette rappresaglie che non tardarono a ritorcersi contro di me. Dovetti dirgli di non tornare a trovarmi a lavoro, la prese a male e non lo vidi più neppure fuori. I giorni passavano tutti uguali, lavoravo sempre, unica nota positiva di quei mesi fu la notizia del furto a danno del gran capo. Lo avevano alleggerito della sua moto da sogno, giusto mentre era parcheggiata sotto il discount. Una sera uscii dopo mesi di ascetismo forzato, mi sentivo spaesato ma risi di gusto quando sotto casa trovai Alex in sella a quella stessa moto. La usava da settimane come fosse sua. Mi disse che si vive davvero solo intorno ai duecento orari o facendosi una tipa diversa ogni sera. Che io stavo al mondo come un morto. Sorrideva, sembrava volermi martoriare ma aveva gli occhi tristi, forse era ferito, forse si sentiva abbandonato. Non lo vidi più. Una mattina grigia d’autunno lessi un trafiletto che parlava di lui. Aveva perso il controllo di quella bestia da cento cavalli fuggendo dalla polizia. Mi piace pensare che abbia avuto un’estate indimenticabile, che almeno lui abbia vissuto il cuore del mondo che sogno ogni mattina.
Ecco i cinque racconti finalisti! Votate il vostro preferito per mezzo di un like alla foto corrispondente sulla pagina Facebook di Officina entro le ore 12:00 del 10 settembre 2016. L’autore o l’autrice del racconto con il maggior numero di voti vincerà un’iscrizione gratuita al Laboratorio di Primo livello “Grammatica delle Storie” 2016/17. Gli altri quattro finalisti potranno invece usufruire dello sconto del 15% sul costo del Laboratorio. Grazie ai numerosi partecipanti e all’amico Alberto Casiraghy per averci ispirato con il suo incipit. Buona lettura! “Ora di buio su un pianeta intraprendente” (Giulia Badano) Prima o poi entrerò nel cuore del mondo, ma lasciate almeno che mi presenti, così che la mia speranza a tinte fosche e amare abbia il privilegio dell’identità. Sono rinata circa quattro miliardi di anni fa dopo un’esplosione cosmica che ha sconvolto tutto. Non ho memoria di cosa fossi prima, probabilmente un pianeta come adesso, abitata da altri organismi che mi hanno amata e odiata fino al nebuloso collasso. Nella lenta ma costante dilatazione dell’universo ho vagato per lunghi eoni del tempo, senza meta, senza soluzione, in guisa di particella abbandonata a sé stessa ad oscillare per exametri indefiniti. Vita dura, quella della particella. I più massicci residui di materiale cosmico ti prendono a spallate per accaparrarsi il posto ritenuto migliore a loro unica discrezione, senza riuscire ad ammettere di essere più confusi di me. In realtà, in un mare di polveri bollenti, avevamo tutti perso l’orientamento e lo scopo della nostra esistenza, quale che fosse. E’ stato durante questa situazione di profonda incertezza e smarrimento che ho perso particelle a cui sentivo di voler bene. Annichilite dal calore infernale, hanno varcato la linea congelata e abbracciato il ghiaccio, scoprendo quanto quell’elemento possa essere magnifico e terribile e bastare di per sé. Una di loro si è guadagnata il nome di Nettuno. Dal canto mio, vagabonda errante e solitaria, non ho saputo scegliermi un angolo di universo senza prima chiedermi cosa volessi diventare. Ho impiegato meno tempo del previsto: qualche millennio, per sfiorare l’idea della completezza delle forme e dei climi. Nelle infinite pieghe del cosmo ho incontrato un granello brillante, circondato da un alone di argentata luce riflessa e discreta, con cui ho deciso di trascorrere il resto della mia esistenza a tre passi dalla nuova Fiamma che ci intiepidiva senza bruciarci. Io e il granello abbiamo trovato il nostro posto nello stesso isolato e cominciato a formarci al ritmo scandito dai suoi sorrisi un po’ sghembi, un po’ malinconici, dalle sue forme ciclicamente tonde, sbeccate, consumate, frizzanti, stanche. Crescendo accompagnata dai suoi umori mutevoli, ho dato forma all’esistenza, ho partorito terre e mari, ho innalzato montagne spruzzandole di neve, ho sguinzagliato il vento, ho addensato le nuvole e liberato il fulmine, ho rinfocolato il mio cuore con fluidi incandescenti e l’ho protetto avvolgendolo in mantelli solidi e compatti. Ho eretto templi ombrosi con radici, tronchi e rami, ho soffiato la sabbia su vaste distese di deserti ostili, ho generato microrganismi e vegliato sulla loro costante evoluzione. Anche sulla vostra. Così nudi. Senza denti aguzzi né artigli, senza ali per volare né branchie per immergersi, avete costruito armi, inventato scafandri per le profondità abissali e uccelli di ferro per solcare i cieli. Io ho amato la vostra astuzia, ho ammirato il vostro ingegno, ma ho sofferto nel vedervi ergervi a padroni miei e di voi stessi. Ho pianto lacrime di pioggia, mentre i vulcani hanno rovesciato la mia collera rovente. Mi sono spezzata gridando di dolore sotto scosse di terremoti violenti. Ho provato a vegliare su di voi, e quante vite ho visto accendersi e spegnersi, quanti passi ho sostenuto. Ma quante ruote, e chiglie, e rotaie, e trivelle e bombe mi hanno segnata. Quanto sangue ho dovuto bere e nascondere, quant’acqua ho dovuto accogliere per sentirmi pulita. Non so come faccio a essere così stanca e paziente, come sopporto di essere stata divisa in confini, tagliata da muri, frazionata da recinti e cancelli, a perdonare l’arroganza che vi rende indifferenti a ciò che calpestate. Prima o poi entrerò nel cuore del mondo, nel vostro cuore, e ricambierete l’amore che vi ho offerto senza pretese. Ma forse sarà tardi. Prima o poi vi guarderete indietro, e nella triste desolazione che avrete lasciato scoprirete l’impronta indelebile delle vostre colpe. “Orfeo ed Euridice” (Ilaria Carrozzo) Prima o poi entrerò nel cuore del mondo. “Si inizia scavando”, mi dicesti, seduta di fronte a me al tavolo della cucina, palpebre calde, girasoli al tramonto, il profumo di una bambina, le mani tese sopra la tovaglia ruvida come un’anziana cartomante, mostrandomi le unghie, tanto gialle da sembrare l’escrescenza dell’osso. Io cominciai da ragazza, grattando la porta di casa, impaziente di uscire come un cane d’appartamento, scattando fuori con una violenza nuova, la stessa di chi calpesta i gradini per raggiungere il proprio sedile in cima allo stadio. Le dita galleggiavano nell’aria, confuse, in attesa di impulsi. Fissavo atomi annoiati e scintillanti muoversi davanti alle pupille come nubili sospiranti a una festa. “Graffia le persone, i muri, le strade”. Le sillabe si attaccavano tra loro, mescolandosi, il tuo profilo era quello di una madre determinata che parlava con la voce di chi ha fumato l’ansia di essere schiacciata dal corpo morto di una vita che non ha mai sentito sua. Raggiungevo la scuola con l’energia rumorosa di un’onda, mi abbattevo su fiori che volevano essere forti, felpe e camicette orgogliose, ricordo che avevano profumi invincibili. Incidevo lettere sui banchi e li osservavo, rumorosi come canoni in una cattedrale durante una messa di Natale. “Lascia segni su tutto quello che vedi, solleva la superficie, delicatamente, come la corteccia di un albero, poi ruba un pezzetto dell’anima, sbriciolalo sui polpastrelli e usalo per tracciare il tuo rifugio, fuori di qui, perché in fondo scappare è trovare il proprio posto nel mondo, il tuo centro, il suo cuore, pulsante e chiassoso, rumore di zoccoli che ti porta via”, i tuoi occhi grandi, alieni, iridi blu scure ricordavano notti d’agosto sull’asfalto umido, ombre che
Per i nostri primi cinque anni l’amico Alberto Casiraghy di Edizioni Pulcinoelefante ci ha regalato un incipit. Mettete alla prova la vostra creatività e noi vi regaleremo un laboratorio! Regolamento del concorso Si partecipa con un racconto di massimo 4000 battute, a tema libero e che abbia come frase d’incipit: “Prima o poi entrerò nel cuore del mondo” Inviare il racconto all’indirizzo info@officinaletteraria.com, in formato .doc, entro e non oltre il 25 agosto 2016. Oggetto della mail: Partecipazione al concorso. Nel corpo della mail specificare il proprio nome e cognome, il titolo del racconto con cui si partecipa al concorso e la frase “Autorizzo Officina Letteraria a pubblicare il racconto allegato alla presente, nel caso risultasse tra i cinque finalisti”. I cinque racconti selezionati dallo staff di Officina come finalisti verranno pubblicati sulla nostra pagina Facebook, dove saranno votabili da ogni utente per mezzo di un like entro il 10 settembre 2016. Il racconto più votato dalla “giuria social” vincerà un’iscrizione al Laboratorio di primo livello “La Grammatica delle Storie” 2016/17. Agli altri quattro finalisti, lo sconto del 15% sul costo del laboratorio.