“È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio” diceva Albert Einstein. Quando penso ai libri della mia infanzia, a quelli a cui torno puntualmente per salvarmi la vita, a quelli che non mi sono piaciuti, a quelli che non ho capito, a quelli che ho… a cosa penso? Penso… Penso alle parole nere incise sulla pagina. Penso alle frasi che mi hanno fatto sentire che non ero sola, che c’era qualcun altro che era passato di lì, che ci era riuscito, che aveva trovato quello che io stavo cercando. Penso alle voci dei personaggi. Penso ai loro modi di muoversi e di parlare, al tipo di parole che lo scrittore gli ha messo in gola. Penso alle atmosfere in cui mi sono immersa leggendo quelle storie, ogni libro ne ha una. Penso a come spesso mi sia trovata a desiderare di essere un personaggio anche io o a quanto avrei desiderato tirar fuori da quello spazio bidimensionale dell’immaginazione quegli eroi ormai così cari, familiari. Cartacanta. Scendendo le scale e entrando nel Laboratorio creativo di Marta Wrubl riesco a percepire il gusto del pregiudizio sotto la lingua, è un pregiudizio inteso in senso “buono”, è la manifestazione del mio non conoscere e quindi non capire. È quella ruga di stupore, quella “fatica” di aprirsi uno spazio mentale per permettersi di godere di una nuova luce. La carta è quello che manca nella mia percezione del libro. È abbastanza paradossale. Ma è così. La luce mi colpisce dritta in mezzo alla fronte. Flash. C’è un mondo qui dentro, in questo studio, che io non avevo mai considerato. La carta. Cosa ne sarebbe di tutti i personaggi e le parole senza la carta? Ma non è solo questo, c’è di più. Marta Wrubl e molti artisti come lei ne hanno scorto il potenziale, l’hanno messa al centro, le hanno dato la possibilità di essere opera d’arte. La carta bianca è come il silenzio, sembra che non abbia niente da dire. Assenza. L’ho sempre vista come assenza. Al più ho provato quel panico da pagina bianca, quell’ansia da prestazione che mi faceva avere fretta di riempirla, di dimostrare che ero in grado di farlo. Non l’ho mai guardata. Non credevo si potesse. Eccolo il pregiudizio. E invece. E invece lei è viva, sta zitta solo se non la ascolti. Richiede cure, Marta Wrubl lo sa, ha studiato per imparare a farlo, alla Scuola di Restauro di Firenze. Anche lei all’inizio la carta la usava solo come supporto: il suo primo amore è stato la pittura. Nel suo studio artistico fa entrambe le cose: lavora con la carta e dipinge. Cartacanta è il nome del suo spazio, il luogo dove sperimenta e gioca, mescola l’arte al sapere artigiano, studia diverse tecniche per trattare questa materia prima, si divide tra la creazione e il recupero, la conservazione e la trasformazione. Aggiusta libri antichi di quattrocento anni, a volte ci trova dentro piccoli reperti “archeologici”, tracce del passato sotto forma di un capello bianco (di uno studioso del 1600?) o di un insetto ormai bidimensionale, conservato tra le pagine quasi di seta. Un tempo la carta di faceva così: a partire dalle fibre della stoffa. La consistenza è quella di un tessuto, liscio e molto bianco, ancora oggi, oggi pomeriggio, mentre io ci passo sopra i popastrelli delle mie dita. Questa è la parte del lavoro di Marta in cui la carta chiede di essere rispettata, riportata al suo stato originario, il più possibile. E allora lei la cuce, ne riempie gli strappi, le toglie di dosso il tempo. I suoi clienti le portano di tutto: libri, manoscritti antichi, ventagli di carta con sopra dipinte scene bucoliche, tavole da backgammon, fumetti degli anni ’50, copertine di dischi, oggetti vintage. Ci sono persone per cui quella carta è molto importante. La parte più creativa del lavoro di Marta prevede la realizzazione di legature e oggetti in carta. È qui che il mio orizzonte si amplia. La carta può essere tridimensionale e può addirittura muoversi, gli artisti che sperimentano questo tipo di arte lo sanno, Marta li cita sul suo sito, io vado a curiosare e scopro cose meravigliose come questa. Inizio a capire come davvero la carta abbia dei segreti da offrire, come sia importante saper guardare. Gli artisti sono tali proprio perchè hanno occhi diversi, vedono la possibilità, sanno ascoltare la materia silenziosa, usarla in modi nuovi, rendere l’impossibile possibile, ampliare la realtà. Tagliare, piegare, incollare, traforare, sovrapporre e plasmare. Mi giro indietro verso ciò che credevo di sapere, vedo la scrittura farsi sempre più piccola e relativa, una tra le tante alternative. Marta Wrubl sperimenta tecniche di decorazione della carta come la marmorizzazione e il Suminagashi. Mi interessano anche l’arte dell’Origami, il paper cutting, i pop-up e la cartapesta, mi dice. Recentemente ho iniziato a produrre orecchini ed anelli utilizzando perline, ritagli e frammenti di carta marmorizzata o antica, mi piace l’idea che un particolare disegnato o stampato su carta possa diventare un oggetto da indossare. Mongolfiere parigine che “volano” sopra alle tue dite, a centinaia di anni di distanza da quando sono state disegnate su quelle pagine da cui lei le ha ritagliate, questa è la parte del lavoro che chiama “trasformare“, c’è molto rispetto per la carta anche in questo, è solo un altro modo di farla rivivere. Dopo aver ascoltato e guardato, cerco di ricostruire un’immagine di Marta. Mi cade lo sguardo sulla sua produzione di fogli di carta marmorizzati: cangianti, come lei. Marta Wrubl è un sacco di cose insieme: una restauratrice, una pittrice, un’illustratrice, un’artista in cerca di nuove intuizioni, una sognatrice, una che fa magie e contratta con il tempo e gli strappi. Tutto questo fa di lei anche un’insegnante dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. Nulla mi appaga di più della gioia condivisa con altri nel creare con la carta. Il Laboratorio. Marta Wrubl terrà un Laboratorio di legatoria a Officina Letteraria dal nome “Il mio libro è un pezzo unico“. L’idea è di creare un oggetto