Lavori in corso – parte I

Il nostro sito è in fase di aggiornamento, prossimamente pubblicheremo le informazioni sui laboratori di Officina Letteraria che avranno inizio a Ottobre 2014. Nel frattempo vogliamo fare alcune considerazioni sull’esperienza che volge al suo quarto ciclo e anticipare le novità 2014/2015. Cominciamo con un bilancio, riserviamo il prossimo post alle informazioni sui laboratori. Dal primo esperimento avviato nel 2012 da Emilia Marasco e Claudia Priano nel Centro polivalente della Sala Sivori a Genova, Officina Letteraria è cresciuta con un numero di ottanta partecipanti ai laboratori nel 2014 e con una ventina di maestri, tra scrittori continuativamente impegnati nei laboratori e scrittori ospiti. La crescita ha coinciso con il trasferimento nella sede di Via Cairoli 4/B, che oltre ad avere il fascino proprio degli spazi del centro storico di Genova – tre grandi stanze con volte a crociera e un angolo per un caffè o un the e quattro chiacchiere affacciato sul chiostro della chiesa di San Siro – offre la possibilità di ospitare mostre di arti visive, reading, presentazioni di libri, conferenze. Spazi, persone e linguaggi espressivi differenti hanno creato occasioni di incontro, di scambio, di collaborazione moltiplicando l’esperienza di Officina Letteraria: in questi anni abbiamo realizzato un laboratorio di romanzo collettivo che ha prodotto un breve romanzo scritto da dieci persone e occasione di un reading al Festival Suq 2013, un’antologia di racconti pubblicata in ebook dall’editrice digitale Emmabooks con il titolo Senza Amore, un reading con Paolo Nori a Palazzo Ducale e, sempre al Ducale, il laboratorio aperto Scrittura Site Specific con Ester Armanino e Emilia Marasco, una passeggiata letteraria attraverso la città: Genova tra luoghi e parole, la partecipazione con otto racconti e un reading alla mostra e convegno Dimenticare a memoria organizzati quest’anno da Arcigay Approdo alla Commenda di Pré. Negli spazi di Officina Letteraria hanno esposto gli artisti Stefania Boiano, Elena Cavallo, Gregorio Giannotta, Sergio Leta, Mauro Panichella, Patrizia Traverso, Giulia Vasta, Guido Zanoletti. Sono stati presentati i libri di Giuliano Galletta, Marino Magliani, Patrizia Traverso e Luigi Surdich. La filosofia di Officina Letteraria si fonda sulla promozione della scrittura attraverso la lettura, i laboratori di tecniche di narrativa, gli workshop e i seminari tematici. L’esperienza di Officina è un’esperienza di incontro e di scambio di riflessioni, di saperi come, in effetti, avviene nei laboratori artigianali, nelle vere officine. Si sperimenta, si prova insieme, si costruisce pian piano, senza fretta e con il piacere di stare dentro al fare e di fare insieme agli altri. La scrittura è un’esperienza che ha certamente necessità di solitudine ma non di isolamento, confrontarsi con gli altri, dialogare, condividere la stessa passione arricchisce l’esperienza e dà alla crescita individuale un significato che va oltre le eventuali aspirazioni ad un risultato concreto. Anche un reading, l’apertura di un blog ben fatto, la partecipazione a un concorso o a un’antologia sono risultati concreti, tanto più soddisfacenti se conseguiti all’interno o con il sostegno di un gruppo. I gruppi di Officina sono composti da persone di generazioni diverse, differenti per motivazioni e aspirazioni e questo mix finisce per essere prezioso per tutti. Naturalmente c’è attenzione per chi riesce a costruire un progetto personale, a trovare la propria voce. Fa parte di questa attenzione il collegamento che Officina Letteraria mantiene con agenti letterari e editor professionisti, sono già state ospiti, nella sede di Via Cairoli, Giulia Ichino, direttrice della Narrativa Italiana Mondadori, e Maria Paola Romeo della Grandi & Associati. Già tre romanzi di allievi di Officina Letteraria sono stati presentati a importanti editori e presto saremo in grado di annunciare una prima uscita.

Al Pozzo, foto di Stefania Boiano

Dal cuore dell’Africa

Sulla mostra fotografica di Stefania Boiano. Il Camerun. Il Camerun è un’isola tranquilla paragonata alle violente regioni vicine. Questa relativa sicurezza porta decine di migliaia di persone in fuga dai conflitti del Congo, del Ciad, della Repubblica Centrafricana e della Nigeria a trovare rifugio in Camerun.  Anche se all’apparenza terra stabile e sicura, in Camerun il 40% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, rendendo così molto difficile l’aiuto ai rifugiati che cercano di ricostruire le loro vite nella nuova terra. Va anche ricordato che a livello mondiale l’Africa subsahariana è tra le zone più colpite dall’HIV e dall’AIDS con una popolazione infetta che tocca punte superiori al 60%. In particolare in Camerun “la maladie” (come viene chiamato l’AIDS, la “malattia” per antonomasia) riguarda oltre 600.000 persone e ne falcia ogni anno circa 40.000, tra cui molti bambini. Cosa fa CamToMe Onlus. CamToMe Onlus è una piccola ONG di Milano specializzata nell’aiuto ai “più poveri dei poveri”, come senzatetto, carcerati e malati di AIDS, in Camerun, Cambogia e Perù. CamToMe opera in Camerun da circa dieci anni e in particolare dal 2006 è presente a Djamboutou, nella periferia di Garoua, una delle principali città del Nord Camerun, con la forza, determinazione, coraggio e passione di Gabriella Lorenzi,  responsabile di una serie di progetti come: Lotta all’AIDS, Promozione Donna, Dignità&Solidarietà, Senzatetto. Il viaggio. Nel gennaio 2013 un gruppo di medici e infermieri dell’Ospedale San Paolo di Milano partono per organizzare un seminario sull’Aids per gli infermieri di Garoua, in Nord Camerun. A quel gruppo si aggiungono Stefania Boiano e Giuliano Gaia per fotografare e filmare le attività di CamToMe. Quel viaggio di reportage si è subito rivelato un’esperienza umana profonda, di quelle che lasciano una traccia indelebile negli occhi e nello stomaco. Le attività quotidiane di Gabriella e del suo staff camerunese, sono state la porta verso la conoscenza di un mondo duro, crudo, fatto di lotta quotidiana per la vita, per l’essenziale, per le cose più semplici che non possono essere date per scontato: un bicchiere d’acqua, un po’ di latte per un bambino, un’aspirina per una febbre troppo alta… Camminando tra quelle storie, volti, sguardi, cattivi odori e polvere, una cosa è stata subito evidente; nonostante la povertà e la dura lotta per la vita, c’è dignità e fierezza in quegli sguardi, una luce che eleva le loro anime. Tornati in Italia, durante l’editing dei video per CamToMe, è emerso che quei volti avevano una forza tale da poter essere una mostra fotografica, che avrebbe raccontato le attività di CamToMe almeno quanto i video, mostrando i veri protagonisti dei loro progetti: madri educatrici nei villaggi, bambini salvati dall’Aids, uomini dalla ritrovata dignità. La poesia antica dei loro sguardi e dei loro gesti racconta la fierezza di chi pur avendo alle spalle storie drammatiche, non se ne è lasciato piegare: in loro la vita è stata più forte di tutto, e per questo hanno molto da insegnarci. Chi è Stefania Boiano. Stefania Boiano è visual designer, pittrice e fotografa. Grazie alla magica invenzione di Internet riesce ad essere contemporaneamente a Londra dove dirige lo studio di comunicazione digitale InvisibleStudio, ed è assistente di illustrazione al Central Saint Martins, e Milano, dove ha fondato e segue uno spazio dedicato ai giovani artisti, Art in the City, e ha creato dal 2007 Leonardoamilano.com, un progetto di visite guidate ed eventi legati a Leonardo da Vinci. Quando non è impegnata nel teletrasporto tra Milano e Londra, Stefania tenta di cogliere l’essenza della realtà che la circonda con l’acquerello, l’olio o una macchina fotografica. Per contribuire al progetto. Se si vuole contribuire ai progetti di CamToMe, tutte le foto in mostra sono in vendita al prezzo di 40 euro l’una con passpartout. Il ricavato, tolte le spese, andrà interamente al progetto “Lotta all’AIDS” di CamToMe onlus in Nord Camerun.

Autobiografia minima di Guido Zanoletti

“Sono nato nel febbraio del 1933, un mese dopo che Hitler era salito al potere. Quando iniziavo la prima elementare il mondo entrava nella II guerra mondiale. Poi è successo di tutto. Difficile districarsi fra tanta follia anche perchè, tranne poche eccezioni, tutto era considerato più o meno normale. Comunque, anche se un po’ ammaccato, sono arrivato fino ad oggi e anche se, come si vede dai miei teatrini, ho capito poco di questo mondo, é stato molto bello così.” Autobiografia minima di Guido Zanoletti

Un'opera di Guido Zanoletti

Macchine da sogni

Macchine da sogni Di Giulia Cocchella. Immaginate un foglio bianco, poco più grande di una cartolina. Immaginate di disegnare sulla sua superficie una serie di solidi geometrici, ciascuno con le superfici sue proprie, tanto che non è più possibile, a un certo punto, distinguere se ciò che state immaginando è a due o tre dimensioni. Ora fate un piccolo taglio e aprite una porta nel foglio (sì, una porta). La porta si spalanca su uno spazio che prima non potevate vedere, che prima non c’era. E ha inizio la storia. “La porta si spalanca su uno spazio che prima non potevate vedere, che prima non c’era. E ha inizio la storia.” Nascono così i Teatri di Guido Zanoletti, come un’evoluzione, un ampliamento delle sue opere geometriche. Guido, oltre alla carta, utilizza la fotografia, rielaborata, il legno in tavolette sottili per costruire lo spazio scenico e in fogli sottilissimi per sostenere gli astanti. Il risultato sono dei microcosmi, ciascuno con una storia fatta di ricordi di viaggio, momenti tra amici, scene di film, scatti rubati su un treno o all’inaugurazione di una mostra, accostati tra loro, racconta l’artista, quasi senza pensare. Eppure da questa assenza di intenzione iniziale nasce un senso, uno e centomila, uno per ogni persona che guarda e si lascia cadere in questi mondi, pervasi di inquietudine ma anche di ironia. I Teatri (ciascuna tavola chiusa in una busta di plastica) sono quasi come i mattoni in casa Zanoletti, la occupano, la strutturano, tanto che a portarne via qualcuno per metterlo in mostra hai paura di toccare la chiave di volta. Sono impilati l’uno sull’altro a formare colonne, a occupare tavoli, a seguire il profilo dei muri: pagine tridimensionali di diario, ma un diario collettivo, universale, mai soltanto personale. Un diario che scrive ogni giorno, mi racconta la moglie dell’artista, o meglio ogni sera, quando a fine giornata Guido si mette al tavolo a lavorare al suo Teatro quotidiano. Mentre le guardo, e le guardo ancora, penso che queste opere funzionano come macchine di sogni, perché generano storie utilizzando simboli, associazioni inconsce, perché come nei sogni tutto è possibile, persino sedersi al bar con noi stessi. “Queste opere funzionano come macchine di sogni, perché generano storie utilizzando simboli, associazioni inconsce” Ci sono anche dei personaggi ricorrenti, li riconosco da una tavola all’altra: chi sono? Come mai a loro è lecito spostarsi tra i teatri? A volte sono solo ombre identiche, che abitano spazi diversi. Uscita dall’ultimo Teatro, risalita in superficie dal punto di fuga sino al primo piano, chiudo la porta di carta alle mie spalle. Scompaiono tutti gli astanti (li sento ancora parlare là dietro, ma non li vedo più). Rimane davanti a me un foglio la cui superficie è perturbata dal disegno di un cubo che sembra venir fuori. Poi nemmeno più quello: resta il foglio bianco, poco più grande di una cartolina. — Leggi anche “Di cosa siamo fatti”, l’articolo di Emilia Marasco sulla poetica di Guido Zanoletti. Vai all’evento sull’inaugurazione della mostra dedicata all’opera di Zanoletti.

Un'opera di Guido Zanoletti

Di cosa siamo fatti

Di cosa siamo fatti. Emilia Marasco sulla mostra di Guido Zanoletti. Siamo fatti di molte cose. Siamo fatti degli spazi che abbiamo attraversato, dei libri che abbiamo letto, dei film che abbiamo visto, siamo fatti delle persone che abbiamo incontrato, compagni di viaggio o figure intraviste, corpi solo sfiorati, siamo fatti dei fantasmi che popolano i nostri sogni e dei personaggi che animano i palcoscenici delle storie che non abbiamo agito ma che, lo stesso, ci appartengono. George Perec scrisse il suo “Je me souviens” nel tentativo di comporre un elenco di ricordi comuni “Se non a tutti perlomeno a molti”. Anche Guido Zanoletti attinge a un serbatoio di ricordi fissati nella memoria e a un bagaglio di appunti visivi fissati con la macchina fotografica. A distanza di tempo assegna una nuova vita a spazi e personaggi – perfino a se stesso – una nuova possibilità e offre a chi si avvicina ai suoi teatri piani diversi di lettura e di interpretazione. “Ogni immagine è una sequenza di un interminabile storyboard, un film lungo come il filo della vita” Ogni immagine è una sequenza di un interminabile storyboard, un film lungo come il filo della vita, i personaggi entrano ed escono di scena, attraversano spazi diversi portando con sé l’enigma e l’ineludibile solitudine dell’esistenza, per questo li riconosciamo e ci riconosciamo in loro, anche se hanno il cappello, il bavero alzato, anche se sono di spalle o sembrano lontani. Guido Zanoletti è fatto di prospettive e geometrie, è fatto dell’arte di Hopper, di Tooker, di Hockney, è fatto di Oriente e Occidente, è fatto degli spazi industriali nelle periferie delle grandi metropoli e del teatro di Ionesco, di noir francese e di western americano, di treni nella notte e di Biennali di Venezia, di situazionismo e di narrative art, è fatto degli spazi dell’Accademia di Belle Arti dove ha dedicato una parte della sua vita a insegnare a tanti giovani la responsabilità e la libertà di essere artisti. — Vai all’inaugurazione della mostra dedicata all’opera di Guido Zanoletti.

Leggere la memoria

Secondo gli ultimi censimenti, in Germania ci sono dai 67 ai 68 milioni di abitanti e, quindi, 34 milioni di uomini in cifra tonda. Di conseguenza, abbiamo circa 20 milioni di uomini capaci di procreare (…). Se ammetto che ci sono da uno a due milioni di omosessuali, vuol dire che il 7 oppure l’8 o addirittura il 10 % degli uomini sono omosessuali. Se la situazione non cambia, il nostro popolo sarà annientato da questa malattia contagiosa. (dal discorso ai generali delle SS di Heinrich Himmler, 1936) Domenica 2 febbraio 2014 (ore 16:00) Officina Letteraria sarà alla Commenda di Prè per l’evento Leggere la memoria: un reading di otto racconti, pensati e scritti sulla base di documenti e testimonianze storiche, per dare il nostro contributo al Giorno della Memoria. Questa ricorrenza internazionale, stabilita dalle Nazioni Unite nel 2005, cade ogni anno il 27 gennaio, giorno della liberazione di Auschwitz da parte dell’esercito sovietico. Una giornata che vuole ricordare tutte le vittime dell’Olocausto: ebrei e omosessuali, disabili, rom e sinti. Il reading si svolge nel luogo che ospita Dimenticare a memoria, mostra di arte contemporanea a cura di Arcigay Approdo. Letture a cura di Emilia Marasco ed Elena Mearini e degli scrittori di Officina Letteraria Giulia Cocchella, Andrea Fabiani, Federica Kessisoglu, Dario Manera, Ilaria Scarioni, Marta Traverso. Ingresso libero.

Scrivere per ragazzi: piacere, senso e mestiere

Perché infilarsi nella tana di Coniglio Bianco di Anselmo Roveda. Scrivere è un piacere, certo. Ma è anche un mestiere. Da fare bene, come ogni mestiere. Mal tollereremmo un idraulico, un panificatore o un elettrauto improvvisati, dopo esserci rivolti a loro non dovremmo avere più sgocciolii nell’acquaio, assaggiare pane sciapo, restare fermi su una piazzola dell’autostrada. Anzi, dopo il loro intervento dovremmo trarre qualche soddisfazione: la quiete terminato lo stillicidio, il piacere di un buon pane, un’andatura sicura e fluida dell’autovettura. Nello stesso modo accostandoci alle pagine scritte da un autore dovremmo poter trarre soddisfazione: l’incontro con una storia dotata, intimamente e universalmente, di senso (anche il fantastico e il surreale lo hanno) inteso come coerenza, efficacia, piacevolezza, domanda. Non necessariamente risposta, certo domanda. E il senso della scrittura risiede non tanto, o non solo, nella storia da raccontare ma nella pertinenza della lingua scelta per raccontarla. E il senso della scrittura risiede non tanto, o non solo, nella storia da raccontare ma nella pertinenza della lingua scelta per raccontarla. Storie belle da raccontare ne è pieno il mondo, abbondano nelle teste, nei cassetti e negli hard disk degli scrittori o aspiranti tali, in quelli dei professionisti come in quelli degli inediti. Le belle storie, le buone idee, diventano buoni libri quando si sostanziano nella scrittura. Una scrittura che non è solo lingua; qui intesa come quella che apprendiamo da bambini con fatica, seppur inconsapevoli, e usiamo da adulti, ormai abbandonata la fatica, spesso, ahimè, altrettanto inconsapevoli. La lingua scritta è altro, è opportuno esercizio di fatica, di lavoro. Da auspicarsi leggero e piacevole, ma pur sempre lavoro. Ingeborg Bachman in Letteratura come utopia (Adelphi 1993) scrive: “Noi tutti crediamo di conoscerla, la lingua, e, infatti, l’adoperiamo. Non così lo scrittore, lui, lui soltanto non può adoperarla”. “Noi tutti crediamo di conoscerla, la lingua, e, infatti, l’adoperiamo. Non così lo scrittore, lui, lui soltanto non può adoperarla” Dovrà recuperarla, “riportarla in vita seguendo un rituale”, giusta e pertinente per la storia che vuole raccontare, per il mondo che vuole rappresentare. Antonio Pennacchi, in occasione della riedizione di Mammut (Donzelli 1994, ora Mondadori 2011), ha più volte raccontato come quel suo primo libro, scritto in un anno, abbia impiegato oltre cinquanta rifiuti, otto anni di riscritture e una limatura di quasi duecento pagine prima di trovare collocazione e fortuna. Non era il mondo editoriale a complottare alle spalle dell’esordiente senza blasone o l’incuria di editor distratti e poco scrupolosi o ancora lo stigma dello scrittore o più semplicemente un’iniqua sfortuna ad agire; no, il testo, dice oggi Pennacchi, aveva bisogno di diventare altro, oltre l’idea narrativa doveva farsi scrittura, libro, letteratura. Il ben più acclamato Jack London di rifiuti ne ricevette parecchi. Quando si parla di letteratura per ragazzi, poi la faccenda si fa ancora più spinosa. Le questioni di pedagogia e psicologia dell’età evolutiva, quando non di didattica e morale, invadono, non prive di qualche legittimità, il campo. In agguato – e chi ha esperienza di redazioni lo sa bene – ci sono edificanti racconti della nonna, vari ammaestramenti, mielose storielle sui buoni sentimenti, coniglietti paffuti e fatine eteree, scritture a tesi (dove il “male” non è la tesi ma la poca cura che viene posta nel condurla a esito, come se la tesi fosse sufficiente in sé per fare letteratura). Toccherà allora scomodare l’abusata citazione di Dino Buzzati: “Scrivere per ragazzi è come scrivere per gli altri, solo più difficile”. La difficoltà inoltre si articola e moltiplica. Oltre al far letteratura in prosa o in poesia, qui, nell’editoria per ragazzi, incontriamo anche un linguaggio altro – quello che investe i picture book – che mette in gioco tutta la sfera progettuale del libro, l’interazione in interdipendenza di testo e immagini. Ma fermiamoci, per ora, alla scrittura; non alla sinergia con l’illustrazione. La scrittura dei picture book è altro, prevede processi creativi e compositivi indipendenti e propri. La difficoltà, nel ragionare intorno a scrittura e ragazzi, sembra inoltre stare nel destinatario. Altri rischi sono in agguato, questa volta proprio linguistici. Una tendenza a semplificare non verso chiarezza ma verso banalizzazione, un accostarsi ai bambini “abbassandosi” e non “calibrando”, che rischia di coinvolgere anche professionisti della scrittura quando scelgono un interlocutore infantile. Minacciosi e inopportuni spuntano discorsi diretti al lettore, “cari piccoli amici…”, di ottocentesca memoria. Lo scrivere per bambini non è scimmiottare una nostra lontana e vaga idea d’infanzia tutta colorata e dolce, è invece raccontare buone storie in una buona lingua, pertinente appunto. Raccontare buone storie in una buona lingua, pertinente appunto. Non parlare una lingua-bambina (esiste poi? E davvero è così sciocchina come certi adulti immaginano?), ma essere capaci di assumere punti di vista, questi sì rintracciabili nella memoria infantile di ciascuno. Beatrice Masini, in un’interessante intervista pubblica sul n. 186 (nov. 2010) della rivista francese “Nous voulons lire!”, dice: “Sono diventata un’autrice per l’infanzia perché mi sono resa conto che la maggior parte delle storie che scrivevo – allora avevo ventanni – avevano come eroi dei bambini e dei ragazzi. Si trovano bambini e ragazzi anche nella letteratura per adulti, ma la differenza, credo, è il punto di vista: se tu assumi il punto di vista d’un bambino o d’un ragazzo e ti poni la questione di calibrare la scrittura sulla sua voce, sul suo sguardo sul mondo, allora scrivi per ragazzi”. Apparentemente semplice. Schietto e vero, convince. È in questa semplicità, ponderata e linguisticamente laboriosa, che si risolve quella maggior difficoltà espressa da Buzzati. La riflessione sullo scrivere per i bambini, ma anche con i bambini, sul fare poesia con loro, sul fare loro scrivere – e qui oltre il mestiere, rientrano prepotenti anche le dimensioni, care agli scrittori, della creatività e dell’espressione – vive oggi un buon momento. Non mancano le occasioni per approfondire visioni e metodi. Ricordando sempre che fantasia, estro, talento e creatività da soli contano poco davvero, vanno piuttosto coltivati e accompagnati con una ricca biblioteca di letture, una solida cassetta degli attrezzi, qualche trucco del mestiere, tanto lavoro, una buona

La zona d’ombra tra romanzo e fumetto

Recensione di Sara Boero. Ci sono lettori voraci e appassionati che non hanno mai esplorato l’universo del fumetto, ritenendolo lontano dai propri gusti e dai propri interessi. Questa larga fetta di lettori sta inconsapevolmente perdendo l’opportunità di scoprire dei romanzi meravigliosi. Alan Moore può essere un ottimo punto di partenza per appassionarsi a questa forma narrativa. Naturalmente sarebbe impossibile compilare una “guida” esaustiva sui migliori romanzi a fumetti: ho scelto di restringere l’oggetto di questo post ad Alan Moore, il mio autore di graphic novel preferito. Per un lettore che si avvicina al mondo del fumetto può essere un ottimo punto di partenza per appassionarsi a questa forma narrativa un po’ diversa ma sicuramente ricca di tesori meritevoli di essere scoperti. Watchman. Alan Moore è giustamente considerato uno degli autori più importanti, complessi e affascinanti di questo settore. Se siete incuriositi dal mondo dei supereroi vi consiglio di cominciare da Watchmen: un romanzo a fumetti atipico, profondo, popolato da una galleria di personaggi borderline e sfaccettati. Uscita originariamente in dodici albi mensili per DC Comics tra il 1986 e il 1987, la serie è stata ripubblicata in Italia anche in un volume unico (decisamente imponente: i romanzi a fumetti sono una maledizione per i lettori da spiaggia e fanno la felicità dei lettori da scrivania). From Hell. Se i supereroi non fanno per voi, nemmeno nelle loro vesti umane e tormentate, può essere che troviate più interessanti gli antieroi. Mi sbilancio: From Hell è probabilmente il mio romanzo a fumetti preferito. I dieci albi che lo compongono hanno avuto una genesi più lenta (1991-1996), ma sono stati anch’essi raccolti in un unico, comodo, Dinosauro Da Libreria. Si tratta del racconto di un’ipotesi sulla vera identità di Jack lo Squartatore, autore degli efferati delitti irrisolti di cui è stata teatro la Londra vittoriana. Questo lavoro è frutto dello studio di anni sul caso, da parte di Alan Moore, che oltre ad essere scrittore è uno storico e un letterato coltissimo, molto esperto in particolare di occultismo ed esoterismo. Il risultato è un’ipotesi verosimile e convincente, storicamente accurata e documentata, ma anche avvincente dal punto di vista giallistico e narrativo. Colpiscono la fantasia del lettore anche i numerosi collegamenti tra gli eventi più diversi accaduti a Londra durante il periodo di “attività” dello Squartatore: sono gli anni di Elephant Man, sono i mesi in cui il “circo” di Buffalo Bill portava il suo spettacolo nella capitale inglese. La Lega degli Straordinari Gentlemen. Sull’accavallarsi storico degli eventi e delle leggende gioca anche La Lega degli Straordinari Gentlemen, che vede come protagonisti i personaggi di fantasia di romanzi famosi ambientati in epoca vittoriana (dal Capitano Nemo, al dottor Jekyll ad Allan Quatermain). Il fumetto era meglio. Un dato curioso: sia da tutti i fumetti citati che da altri due dello stesso autore (Constantine – di cui Moore non è autore ma ideatore originale del personaggio, e V per Vendetta) sono stati tratti dei famosi blockbuster, in certi casi di buon livello in certi altri di qualità catastrofica. I risultati cinematografici ispirati ai fumetti mi spingono ad una riflessione. Mi è capitato di trovare film che “arricchissero” e “migliorassero” in qualche misura il romanzo da cui erano tratti (sto pensando per esempio a Fight Club, Arancia Meccanica o Shining). A mio gusto, però, non ho mai riscontrato un risultato analogo nei film tratti da fumetti: mi sembra sempre che il livello, per quanto buono, si abbassi rispetto all’originale, mentre con i romanzi è possibile il contrario. Voi cosa ne pensate?