Quinto racconto del nostro laboratorio estivo di Apricale 2016.

Un gioco di ruolo narrativo durato cinque giorni.

Ciascuno dei personaggi, delineati con una sorta di “binomio fantastico”, aveva il compito di scoprire e raccontare la storia di uno degli altri personaggi. Come? Scopritelo leggendo il racconto del vecchio musicista e del barone rampante!

Il vecchio musicista (oppure no) e il barone rampante (oppure no)

di Paolo Silingardi

«Barone, credo che il gatto sia stato oltremodo magnanimo nell’assegnarmi questo compito.
Abbiate solo la compiacenza di sfilarvi il guanto in modo che possa osservare l’anello con il sigillo del casato e il mistero sarà subito risolto»
«Ma certo! Nonostante l’età il suo cervello è davvero… ahi» la bocca si piega in una smorfia di dolore. «Diavolo, mi sono ferito. Mi era parso in effetti di avvertire un fastidio.»
«E’ un taglio.»
«Non ho la minima idea di come me lo possa essere procurato»
«E il suo anello è sparito.»
«Forse sono stato rapinato.»
«È quello che intendo scoprire, signor barone. I miei ossequi.»

Immerso nei miei pensieri ho abbandonato la cacofonia della piazza per trovare rifugio nella quiete dei vicoli ombrosi.
Il gatto ha detto che l’incantesimo colpisce solo i forestieri. Senza dubbio il primo passo è dunque quello di domandare nelle locande. Mi metto quindi in cammino mentre riassumo nella mente le caratteristiche del barone.
I vestiti paiono di eccellente fattura, il portamento è nobile, la voce è bassa e impostata.
Solo quel barbone nero da brigante stona con il resto, ma vai a sapere come sono adesso le mode dei giovani.
Assorto in questi pensieri mi ritrovo infine davanti a una locanda, l’insegna malandata che cigola alla brezza del mattino. Non pare posto adatto a un signore, ma da qualche parte si deve pur cominciare. E poi ho bisogno di andare in bagno e riposare qualche minuto.

«Mi hanno detto che in questa locanda alloggia il barone di… di… Mi aiuti bella signorina ché alla mia età la memoria gioca brutti scherzi…»
La fanciulla scoppia a ridere così forte che quasi rovescia il mio bianco amaro. Il suo petto sussulta meraviglioso come quello di certi soprani…
«Un barone qui. Questa è bella davvero bella» i seni palpitano ancora mentre si curva sul tavolino.
«Eppure dovrebbe alloggiare in una locanda come questa, se non erro.»
«Voi forestieri in questi giorni… I nobili non alloggiano alla locanda, ma al castello, in cima alla rocca. »
Ringrazio allungando una moneta.
«Questa è per il vino, per l’informazione e per la grazia delle sue risate.»
Mi scocca un bacio sulla tempia e si allontana ancheggiando tra le risa.
Metto in tasca un sottobicchiere per ricordarmi della bella cameriera ed esco salutando con un sorriso sornione.

Il bianco ghiacciato mi ha un po’ rinfrancato, ma tutte queste scale con gli alti scalini e le pedate irregolari che spezzano il ritmo…
Mi tuffo nella garitta del guardiano come in un laghetto gelato.
«Il signore è atteso?»
«Ma certo! Io sono… Sono Giacomo Puccini!»

«Un musicista. È il primo questa settimana» declama il servitore attraversando a passo troppo svelto, l’ampio salone silenzioso.
«Tuttavia il barone è assente. Non so quando tornerà. Come ben saprà si tratta di un uomo piuttosto eccentrico» soggiunge quindi in tono confidenziale. Poi indica una sedia e si dilegua.
Mi guardo intorno mentre recupero il fiato e le gambe rallentano il tremore. La grande sala colpisce per il silenzio del suo spazio.
Un soffitto spiovente in legno, sorretto da robuste capriate, veglia muto sull’aria immobile.
La campana rintocca una volta. Poi tace.

Passeggio un poco per mantenere attiva la circolazione.
Ho bisogno di andare in bagno e ne ho bisogno in fretta. Forse dietro questa porta…
In un attimo mi ritrovo nel gabinetto particolare del barone. Alle pareti scaffali ingombri di libri. Al centro un pesante tavolo di quercia ricoperto di faldoni e strumenti musicali. Su un leggio, illuminato dalla luce polverosa, uno spartito scritto a meno: una ballata ingenua, ma orecchiabile.
Sgattaiolo via furtivo e in pochi istanti ritrovo sotto i piedi i ciottoli sconnessi dei vicoli.
Un cane orina contro un muro, innaffiando incurante un vaso di gerani. Beato lui, penso mentre cerco un angolino appartato per imitarlo. Trovo un anfratto e finalmente mi libero, beandomi del rintocco delle gocce nella piccola pozzanghera che si va formando accanto a quell’altra macchina scura che pare…sì, pare proprio… sangue.
Sangue non del tutto asciutto.
Accanto altre chiazze più piccole si allontanano fitte lungo il muro perdendosi nel buio. Da una finestra giunge a tratti un fischiettare sommesso. Un gatto nero mi sguscia accanto scomparendo nell’ombra alle mie spalle. Qualche metro più avanti il vicolo termina in una lunga ripidissima scala che conduce a una botola fradicia e rappezzata. Il fischiettare è ora più nitido.
Forse qualcuno intento a imbottigliare vino o ad accatastare legna, penso mentre istintivamente riprendo l’arietta in contrappunto e…

Un minuto dopo le mie nocche percuotono la porticina con tutta la forza rimasta.
«Apra Barone!»

«Temo di non esserne in grado» la voce baritonale ha preso il posto del fischio e giunge nitida da dietro la botola. «Sono legato come un salame».
Provo a scuotere il portello con uno spintone, ma invano.
«Bisogna sollevare il ferro morto, amico mio. Possedete una spada o un pugnale?»
Mi viene in mente il sottobicchiere affondato nella tasca. Lo infilo nella fessura facendolo scorrere piano verso l’alto. Al quarto tentativo la botola si apre e quasi precipito all’interno inciampando nel gradino.

«Dunque ha riconosciuto la mia ballata. Notevole.»
«Penso di aver riconosciuto anche vostro fratello, ora che vi osservo meglio.»
«Il mio gemello. Secondogenito per quaranta minuti» sorride il barone massaggiandosi i polsi.
«Un usurpatore, dunque. Bisogna dare subito l’allarme. E chiamare un medico per la vostra ferita.»
«Calma, amico mio. Io sto benissimo. È stato Rinaldo a ferirsi nel duello di stanotte. Io a quel punto mi sono arreso prima che finissimo per farci male davvero.»
«E se vi avesse ucciso?»
«Sciocchezze. Ha bisogno di tenermi vivo per estorcermi tutte le informazioni necessarie a prendere il mio posto.»
«Il vostro sangue freddo è ammirevole, barone, ma credo sia meglio fuggire prima che vostro fratello riacquisti la memoria e torni qui»
«Un momento. Mio fratello ha perso la memoria?»
«Sì. È per questo che il gatto parlante mi ha incaricato di indagare su di lui.»
La risata del barone esplode incontenibile.
«Dunque il povero Rinaldo è stato così a lungo lontano da Apricale da diventare un forestiero.»
«A quanto pare sì. Ma ora, barone…»
«Non temete: l’incantesimo è molto potente. Ho qualche giorno per meditare sul da farsi… e per farmi crescere la barba.»
«Come dite barone?»
«Beh, visto che mio fratello pare così ansioso di sobbarcarsi le innumerevoli noie che il mio rango prevede…»

«Barone, credo di aver infine risolto il mistero: voi siete il barone Arcibaldo Cassini Della Quercia, barone di Apricale. Qualche tempo fa siete partito alla ricerca del vostro gemello e…»
«Ho un gemello?»

«Barone, credo di aver infine risolto il mistero: voi siete il barone Arcibaldo Cassini Della Quercia, barone di Apricale. Qualche tempo fa siete partito alla ricerca del vostro gemello e…»
«Ho un gemello?»
«Rinaldo, secondogenito per quaranta minuti. Amante della musica e della bisboccia, dopo la morte di vostro padre egli decise di andare per il mondo componendo ballate e vivendo in allegria. Sentendo la sua nostalgia, qualche mese fa decideste di ritrovarlo per riportarlo ad Apricale e così partiste in gran segreto. Il viaggio è evidentemente stato abbastanza lungo per rendervi soggetto all’incantesimo.»
«Straordinario, maestro. E dov’è ora il mio gemello?»
«Aveva bisogno di accommiatarsi da un così nutrito gruppo di fanciulle che avete deciso di precederlo di qualche giorno. Credo che sarà qui entro la metà del mese.»
«Bene. Non ho un ricordo nitido di lui, ma, visto che siamo così legati, non vedo l’ora di abbracciarlo. Toglietemi solo un’ultima curiosità: come mi sono procurato questo taglio alla mano?»
«È semplicissimo: avevate deciso di radervi prima di rientrare al castello e vi siete tagliato col rasoio. Anzi, a proposito, lasciate che pensi io a liberarvi da questo barbone. Non vorrete mica che vi si prenda per un misterioso usurpatore.»

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