Distillare: vuole dire mandare fuori un liquido goccia a goccia; estrarre faticosamente.

Davvero faticoso deve essere il lavoro dei dipendenti della casa editrice Centauria, che hanno deciso di inventare questo nuovo prodotto. I libri “Distillati“. Ne avete già sentito parlare? Badate bene, NON SONO RIASSUNTI.

L’idea è semplice, il claim conturbante. “Non hai più voglia di leggere davvero tutte le pagine di un libro?”, “Vuoi arrivare al succo senza la noia di tutte quelle parole che si rincorrono?”; o, per dirla tutta, “A scuola ti hanno chiesto di leggere un thriller svedese, ma sinceramente c’hai di meglio da fare?”. La risposta alle tue domande ti aspetta in edicola, incelophanata a meno di 5 euro.

Attenti al gradino.

Quando ho acquistato la mia copia distillata di “Uomini che odiano le donne” di Stieg Larsson, l’edicolante non ci poteva credere. Ha sgranato gli occhi, mi ha chiesto se volessi anche un quotidiano, per giustificare il mio moto a luogo. No, voglio questo perché voglio capire.
Capire come sono riusciti a comprimere 676 pagine di trama piuttosto fitta a 10 punti tipografici in 235 pagine stampate al doppio della grandezza. Non c’è scritto chi ha avuto il coraggio di compiere questo gesto ciclopico. Compare solo il nome della direttrice responsabile della collana “Distillati”, che si assume tutte le colpe o le gioie della suddetta potatura.

Insomma, il libro che tengo in pugno dovrebbe racchiudere “il cuore del romanzo” del primo capitolo della saga di Millenium. Analizziamo l’incipit delle due versioni.

Era diventato un rito che si ripeteva ogni anno. Il destinatario del fiore ne compiva stavolta ottantadue. Quando il fiore arrivò, aprì il pacchetto e lo liberò dalla carta da regolo in cui era avvolto. Quindi sollevò il ricevitore e compose il numero di un ex commissario di pubblica sicurezza che dopo il pensionamento era andato a stabilirsi sulle rive del lago Siljan. I due uomini non erano solo coetanei, ma erano anche nati nello stesso giorno – fatto che in quel contesto poteva essere considerato come una sorta d’ironia. Il commissario, che sapeva che la telefonata sarebbe arrivata dopo la distribuzione della posta delle undici, nell’attesa stava bevendo un caffè. Quest’anno il telefono squillò già alle dieci e trenta. Lui alzò la cornetta e disse ciao senza nemmeno presentarsi.
«È arrivato.»

da Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson.*

Era un rito che si ripeteva ogni anno. Il destinatario del fiore ne compiva stavolta ottantadue. Quando il fiore arrivò, aprì il pacchetto e lo liberò della carta da regalo in cui era avvolto. Quindi sollevò il ricevitore e compose il numero di un ex commissario di pubblica sicurezza che dopo il pensionamento era andato a stabilirsi sulle rive del lago Siljan. «È arrivato.»

da Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson, versione Distillata.**

 

È successo qualcosa? Guardiamo meglio.

Era diventato un rito che si ripeteva ogni anno. Il destinatario del fiore ne compiva stavolta ottantadue. Quando il fiore arrivò, aprì il pacchetto e lo liberò dalla carta da regolo in cui era avvolto. Quindi sollevò il ricevitore e compose il numero di un ex commissario di pubblica sicurezza che dopo il pensionamento era andato a stabilirsi sulle rive del lago Siljan. I due uomini non erano solo coetanei, ma erano anche nati nello stesso giorno – fatto che in quel contesto poteva essere considerato come una sorta d’ironia. Il commissario, che sapeva che la telefonata sarebbe arrivata dopo la distribuzione della posta delle undici, nell’attesa stava bevendo un caffè. Quest’anno il telefono squillò già alle dieci e trenta. Lui alzò la cornetta e disse ciao senza nemmeno presentarsi.
«È arrivato.»

da Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson.*

Era un rito che si ripeteva ogni anno. Il destinatario del fiore ne compiva stavolta ottantadue. Quando il fiore arrivò, aprì il pacchetto e lo liberò della carta da regalo in cui era avvolto. Quindi sollevò il ricevitore e compose il numero di un ex commissario di pubblica sicurezza che dopo il pensionamento era andato a stabilirsi sulle rive del lago Siljan. «È arrivato.»

da Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson, versione Distillata.**

Quindi è così? Hanno proprio ragione. Non è un riassunto: è una macchina infernale di copia e incolla!
Va bene Hemingway, ma non credo che quella piccola parolina – quel “diventato” – fosse davvero responsabile delle 600 pagine scritte da Stieg Larsson. E invece i Distillati sono spietati. Ogni parola contribuisce allo sbrodolamento, all’allungamento insensato. Tutto ciò che non sia soggetto o predicato deve soccombere. Salviamo i complementi oggetto solo quando utili alla comprensione della trama.

Proviamo con un altro pezzo? In Uomini che odiano le donne, un punto nevralgico è il momento in cui l’hacker Lisbeth Salander si vendica su un uomo che voleva abusare di lei. Per la cronaca, gli tatua sul petto un insulto che il depravato ricorderà per sempre. Vogliamo leggere l’originale? Questo brano lo si incontra a pagina 317; il Distillato lo propone a pagina 113.

«Sta’ fermo. È la prima volta che uso questo aggeggio.» Lavorò concentrata per due ore. Quando ebbe terminato, lui aveva smesso di lamentarsi. Sembrava quasi piombato in uno stato di apatia.
Lei scese dal letto, piegò la testa di lato e osservò la sua opera con occhio critico. Il suo talento artistico era piuttosto limitato. Le lettere tremolavano e il tutto aveva un che di impressionista. Aveva utilizzato il rosso e il blu per tatuare il messaggio, che era scritto in maiuscolo su cinque righe che gli coprivano tutto l’addome, dai capezzoli fin giù, appena sopra i genitali: IO SONO UN SADICO PORCO, UN VERME E UNO STUPRATORE.

Pagina 317 di Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson.*

«Sta’ fermo. È la prima volta che uso questo aggeggio.» Lavorò concentrata per due ore, poi scese dal letto, piegò la testa di lato e osservò la sua opera con occhio critico. Il messaggio era scritto in maiuscolo su cinque righe che coprivano l’addome, dai capezzoli fin giù, appena sopra i genitali: IO SONO UN SADICO PORCO, UN VERME E UNO STUPRATORE.

Pagina 113 di Uomini che odiano le donne, versione Distillata.**

Qua accade una cosa straordinaria. Dall’estro del potatore, appare un “poi”, rarissima parola aggiunta a quelle dell’autore, ma giustificatissima se può aiutarci a risparmiare tre righe di virtuosismo.

Il lavoro è da folli. Da pazzi, nel senso che io non lo vorrei mai fare. Passare le ore a cancellare una parola sì, una no, una sì, togliere tre righe e cambiare congiunzione. Sul serio: è un lavoraccio. Da scrivere. Ma da leggere, è altrettanto dura? Possiamo dire che è un delitto perfetto. Chi non raffronti le due copie, a stento si accorgerebbe di assistere ai sopravvissuti di un campo minato. Però facciamo un esperimento.

Vi presento Moby Dick distillato.

Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c’è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l’altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l’oceano.

da Moby Dick (o la Balena) di Herman Melville.***

Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo, che è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Tutti nutrono gli stessi sentimenti che nutro io verso l’oceano.

Ipotesi distillata di Moby Dick (e basta!).

Questo è un esercizio, neanche tanto folle. E ci siamo già persi le labbra al torvo, i funerali, i cappelli, Catone. Ma si potrebbe andare oltre? Sì.

Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c’è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l’altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l’oceano.

da Moby Dick (o la Balena) di Herman Melville.***

Chiamatemi l’oceano.

(Che è pronta la pasta!)

Espresso di Moby di H.M.

Si dice che ci sia differenza tra il genio e lo stupido, perché il genio ha dei limiti, lo stupido no.
Ovviamente quest’ultimo esempio è folle e scherzoso. Ma potrebbe accadere. Se le parole si tagliano senza giustificazione, mantenendo solo il senso. Allora, cari Distillati, preferivo il riassunto. Perché almeno non c’era l’occultamento del cadavere. Chiaramente la collana in miniatura non dichiara falsità: sappiamo benissimo che stiamo leggendo un libro ristretto. È comunque un certo delitto fare perdere tutte queste parole. Sprecate. Vomitate. Rimuginate. Ma farle perdere nel vuoto del tasto canc. Lasciatele. Scrivetele piccole, o in rosso – come si evidenziavano gli errori alle elementari – scriveteci a lato “inutile”. Ma lasciatele. Lasciate che il lettore veda quello che perde. Credo che non riuscirebbe a resistere alla tentazione di divorare quell’eccesso.

Siamo una generazione obesa. Perché ovunque, fuorché nella mente? Perché la voracità non passa per la testa? McDonald lancia sul mercato il triplo cheeseburger, e nelle edicole approdano libri tagliuzzati da un Edward che andava di fretta.

Avete ridotto le pagine e il piacere. Perché il piacere di una cosa superflua e inutile come un libro risiede proprio in quel mucchio di stecchetti neri ammassati sulla carta. Altrimenti basterebbe la quarta di copertina, o Wikipedia.

Rimane che i libri Distillati certamente rispondono ad un’esigenza. Sì, ma quale?

Esigenza ecologica? Dimezziamo le pagine per raddoppiare gli alberi? All’epoca dell’ebook, che non abbatte manco una timida betulla? Siamo sinceri.

Esigenza commerciale? I libri Distillati fanno il cortocircuito che può fare Massimo Ranieri che recita Riccardo III di Shakespeare. Le donne di mezz’età affezionate al neomelodico di certo non si gettano a capofitto in un dramma d’altri tempi. E i fan della drammaturgia classica, certamente non daranno fiducia al cantante di “Se bruciasse la città”, per quanto prestante.
Allo stesso modo, il lettore incallito rifiuta a priori il solo concetto di “sunto”. E quello che non legge? Chi non è abituato a sfogliare volumi? Dite che lo si trova in edicola a chiedere l’ultimo della Mazzantini, o piuttosto sta giocando a “Candy Crush” sul Samsung?

Mi fanno un po’ questo effetto, i Distillati. Un’anacronistica accelerazione di carta, ai tempi del web e della velocità della luce. Sveltire qualcosa nel modo più lento.
Mi fa l’effetto di quello che “ti mando un messaggio vocale, che faccio prima che scriverlo”.
E poi ci metti dieci minuti ad ascoltarlo, perché balbetta.

Se volete sentire un’altra campana a proposito del controverso tema dei “Distillati”, date uno sguardo a cosa dice Sara Boero.

*Gli estratti della versione originale di Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson sono tratte dal volume di Marsilio editore (collana “Farfalle”), traduzione di Carmen Giorgetti Cima.

** Gli estratti della versione Distillata di Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson sono tratte dal volume  di Centauria S.r.l. editore, collana Distillati, direttore responsabile Anna Maria Goppion.

***Gli estratti di Moby Dick (o la Balena) di Herman Melville sono tratte dal volume di Gli Adelphi editore, traduzione di Cesare Pavese.

    Comments:

  1. Dimitri
    11 Gennaio 2016 at 4:59 pm

    Io non penso sia una cosa così terrbile distillare un libro. Cioè, metti che uno non abbia tempo.. o.. o non possa.. ecco..
    Mettiamo che uno cioè che poi non ne ha voglia e.. e..

    Vabbé, non riesco nemmeno a far finta di essere d’accordo!
    Bravo Miché! Mi sei piaciuto un botto… soprattutto la parte della pasta!

    • Cornetta Maria
      17 Aprile 2016 at 11:21 pm

      Io risparmierei tutta la faticaccia all’editrice perché mi piace la sintesi: intensità del racconto a sfavore della lunghezza. Scrivo così: è la mia personalità e il mio stile. Non posso lamentarmi: la lettura risulta gradevole e fluida, originale e fruibile anche in poche ore. I miei racconti non superano le venti pagine ma tutti mi dicono che sono bellissimi. Onestamente, non ho difficoltà a crederci. Già l’incipit dei miei testi allestisce la scena immediatamente e non uso giri di parole per descrivere situazioni e personaggi.

      • Michele De Negri
        16 Maggio 2016 at 11:03 pm

        E’ giustissimo, Maria, concentrarsi sulla misura, e non sprecare parole laddove non servano. Ma qui si parla di eliminare in un gesto parole che l’autore ha messo insieme con anni di lavoro. Sintesi non vuol dire fretta: né di leggere, né di scrivere. Non a caso lo chiamano dono.

  2. Cornetta Maria
    18 Dicembre 2016 at 6:11 pm

    La capacità di esprimere in profondità ciò che troppi disperdono in lunghezza, è il vero dono, secondo me. Lo scrittore è l’impressionista della parola, deve puntare dritto al cuore del lettore (metaforicamente)

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