Settimo racconto del nostro laboratorio estivo di Apricale 2016.

Un gioco di ruolo narrativo durato cinque giorni.

Ciascuno dei personaggi, delineati con una sorta di “binomio fantastico”, aveva il compito di scoprire e raccontare la storia di uno degli altri personaggi. Come? Scopritelo leggendo!

L’oste onesto (oppure no) e il frate alcolizzato (oppure no)

di Elena Genisio

Percorro faticosamente la salita che porta alla parrocchia; è ripida e le pietre sono arse dal sole, così come la mia testa; provo un senso di vertigine.

Arrivo ad appoggiarmi al portone e finalmente entro. Mi investe una folata d’aria fresca, che mi rigenera.
Intravedo quel frate solitario osservare con sguardo vacuo, quasi assente, l’altare della chiesa di Apricale. Sembra fuori posto, guarda gli affreschi alle spalle dell’altare come se non li vedesse davvero. Poi abbassa lo sguardo verso i mosaici colorati del pavimento e intravedo in lui un guizzo di ammirazione.

Si muove lentamente, trascinando il suo ruvido saio con passo greve, tocca spesso il cordone che gli stringe la vita, aggiustandolo in continuazione, come se non ne fosse mai soddisfatto.

La sua statura supera quella di un uomo di media altezza e la sua magrezza lo fa apparire anche più alto.
Percorrendo la navata centrale, incrocio il suo sguardo acuto e penetrante; il naso affilato e un po’ adunco gli conferisce un’espressione vigile, precisa.

Possiede un mento pronunciato, segno di volontà salda…

Possiede un mento pronunciato, segno di volontà salda; il viso è allungato e coperto di efelidi, che sbocciano da una barba grigia scolpita con cura. Ritengo possa avere cinquanta primavere, ma il suo corpo si muove agile.

All’improvviso lo vedo cambiare direzione per dirigersi deciso verso l’altare, sale velocemente i gradini che lo separano dal tabernacolo e compie un gesto inaspettato. A fianco del tabernacolo, dove vengono custodite le ostie da consacrare, qualcuno deve aver dimenticato il vassoio d’argento su cui è appoggiata la bottiglia contenente il vino per la messa. Il frate solleva il tovagliolo di lino bianco appoggiato sulla bottiglia, ma si arresta per guardarsi rapidamente attorno, furtivo, per verificare se ci sia qualcuno in chiesa. Io, nel frattempo, mi ero già nascosto dietro una colonna marmorea, in modo da osservare la scena senza essere visto da lui.

Il frate, certo d’essere solo, afferra la bottiglia e, avido, beve il vino fino all’ultima goccia.

Questa scena mi lascia esterrefatto.

Finito di bere, porta le mani al cordone in vita per aggiustarlo compulsivamente, un movimento che sembra rassicurarlo.
Fatto questo, si dirige a lunghe falcate verso l’uscita della chiesa, con lo sguardo basso.

Nel frattempo, sono uscito dal mio nascondiglio, lui, passandomi accanto, senza vedermi, mi investe con un odore peculiare, aspro, direi alcolico, a me familiare e mi accorgo che il suo colorito è pallido ma acceso solo sulle guance di un rossore innaturale.

Ho la sensazione di conoscere questo frate sgualcito. Questo frate, sotto il suo vecchio saio sciupato dal tempo, sembra custodire e celare con fatica un segreto. Forse la ragione che lo ha guidato verso la bottiglia.

Sempre più incuriosito e attratto da quest’uomo, decido di continuare a seguirlo con discrezione per scoprire cosa gli sia accaduto, quale sia il suo segreto. Lo vedo sparire in un vicolo stretto. Entrato a mia volta nel caruggio, non vedo più il frate. Evidentemente ha allungato il passo e ha inforcato uno dei sentieri che portano fuori dal paese.
Non provo a seguirlo per strade più scoscese, mi volto per tornare in piazza.

Nei pressi dell’antico forno, incontro una donna con lunghi capelli corvini, che tiene per mano un bambino che potrà avere una decina d’anni. Dalla tenerezza che c’è tra loro è evidente che si tratti di madre e figlio. La donna è bella, ma un po’ sfiorita, sembra stanca; il bimbo mi colpisce particolarmente, non le somiglia affatto, ha colori diversi, capelli rossi e una pioggia di efelidi sulle guance. Quei caratteri mi risultano familiari: riconosco in lui i tratti di quel frate misterioso, anzi sembra lui in miniatura.

“Ma come mai? È possibile che tra loro esista un qualche vincolo di parentela?”

La donna trasporta con fatica una borsa pesante, vedendola in difficoltà le offro il mio aiuto. Intanto ne approfitto per scrutare meglio il bambino.

“Signora, mi permetta di aiutarla… posso fare le veci di suo marito e portarle la borsa fino a casa? È pesante e lei deve badare anche al suo bambino.”
E lei: “La ringrazio molto, abitiamo qui vicino” e guardando il bambino “è Francesco l’uomo di casa, siamo soli io e lui”.

Dopo una discesa di pochi passi, raggiungiamo una casa graziosa, con un piccolo giardino e con finestre fiorite di gerani. “Eccoci arrivati!” esclama Francesco. Deposta a terra la borsa, mi congedo dalla donna e mi allontano. Nel frattempo, appare il frate, assorto, di ritorno dal suo vagare. Mi fermo di nuovo a osservarlo.

All’improvviso viene investito da una palla: è Francesco che gioca con la sua mamma nel giardino. Il frate raccoglie la palla, alza lo sguardo e vede la donna. Lo vedo trasalire, immediatamente porta le mani al cordone del saio e le sorride istintivamente.

Lei lo saluta con dolcezza: “Bernardo! Sono dieci anni che aspetto” dice.

Un vecchio, seduto su una panca di legno poco lontana, assiste alla scena e si rivolge a me come se mi conoscesse: “Hai visto? Ti ricordi quando dieci anni fa Frate Bernardo è stato allontanato da Apricale? Ha vissuto per anni come un eremita, non si sa dove…”.

Io che non ricordo nulla, guardo il vecchio con sorpresa, senza parlare. Il vecchio prosegue: “Ma sì… non era mai stata data una motivazione ufficiale per la sua partenza forzata, un esilio durato dieci anni. Poi è arrivato quell’angelo dai riccioli rossi, cresciuto solo con la mamma.”

Ecco svelato il mistero di quella somiglianza.

Il frate si avvicina quasi timoroso alla donna e al bambino, aggiustandosi il cordone del saio più nervosamente del solito. Allora il bambino prende l’iniziativa e gli corre incontro. Frate Bernardo toglie finalmente le mani dal cordone del saio e afferra la manina che Francesco gli porge.

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