Officina Letteraria e UDI.

Una donna, un giorno è il titolo del reading che Officina Letteraria e UDI- Unione Donne in Italia – hanno deciso di ideare e mettere in scena presso la Biblioteca Margherita Ferro, il 6 novembre scorso. Ognuna delle partecipanti, in tutto sedici, ha scritto un racconto che aveva come traccia la descrizione di una giornata di una donna oggi. Le parole delle scrittrici partecipanti sono stati accolte presso la sede dell’Udi e lì hanno trovato orecchie coscienti e curiose, entusiasmo e possibilità di confronto. La sede dell’UDI di via Cairoli 14/6  porta appesi alle pareti i manifesti delle battaglie femministe che settant’anni fa iniziavano a diventare fondamentali nella storie delle donne di questo paese: aprire le porte alle parole delle donne oggi, è stato un grande aggiornamento del file, uno sguardo trasversale che ha connesso tutte, lettrici e ascoltatrici, ad una radice comune, dalla quale attingere per interpretare ogni singola posizione. E cercare di capire. Aggiustare un po’ la rotta. Farsi delle domande. Trovare delle risposte, nelle esperienze dell’altra. E soprattutto, forse, sentirsi comprese e rispettate, oggi, nel proprio essere diverse, una dall’altra: oltre ai clichè, oltre alle definizioni. 

Ogni lunedì e ogni venerdì saranno pubblicati su questo Blog i testi delle sedici partecipanti

“L’attesa” un racconto di Giovanna Olivari

L’attesa.  È l’emozione più emozionante. Uno stato magico. L’attesa. Di qualsiasi cosa. Comunque vada.

Dell’amore, per esempio. Lo costruisci, giorno dopo giorno. Messaggi, foto, parole, telefonate, lettere, pensieri, allusioni. E se poi l’altro risponde e sta al gioco… Che emozione!

“Castellaria” mi chiama la mia amica Anna.  Embè? Mi costruisco castelli in aria. E allora?  Intanto io, Castellaria, ho vissuto una settimana a Marciana in uno stato di grazia. Mi sono goduta quello che comunque avevo, ed era già molto. Natura, affetti,  amici, figlio, nuora, casa, terrazza, radici.    Le mie radici. Il mio mare. I miei profumi. Alloro, rosmarino, nepitella, giuderba, menta, basilico…. La mia isola.

E intanto costruivo il sogno, con pacatezza, con meticolosità, gesto dopo gesto, parola dopo parola, osando sempre un po’ di più, col fiato in sospeso attendendo la risposta, e su quella frenando o accelerando, di volta in volta. Così costruivo il sogno e la dolcezza mi riempiva il cuore. 

Che importa che succederà quando tornerò, quando lo rivedrò, dal vero!

Innamorarsi con il tumore. Innamorarsi con un cancro in seno, con la morte nel cuore, e nel cuore l’amore.

– Lo fai – mi dicevano le amiche –  per spostare la tua attenzione, per nasconderti la paura, uno struzzo, anche stavolta, di fronte a una cosa grave come il tumore, per scongiurare la paura della morte, della chemio, della radio, dell’intervento, dell’anestesia, della tetta ferita, deturpata…

Oddio! Ho un inizio di morte nella tetta, e io sto a pensare a quanta me ne  toglieranno, a come la rovineranno! 

– Signora, non si preoccupi!  Ne ha così tanta!- Il professor Friedman, il chirurgo,  sorride con ironia e tenerezza alle mie insistenti richieste su “quanta me ne toglierà?”. Bell’uomo, sulla sessantina, alto, snello, capelli folti, bianchi, sicuro, deciso, si muove da padrone. Mi conosce. È già intervenuto, otto anni fa, su quella stessa tetta, a prelevare un “granello”, ma era negativo. Sospetto, quello sì, ma negativo. Da togliere, per sicurezza, quello sì, ma negativo. Oggi ha faticato pure lui a trovare, dall’esterno, il punto che aveva inciso a suo tempo.  Seno integro, pelle liscia, uniforme, come prima. Ottimo lavoro, suo e del suo assistente che ha “cucito”.

– Punti “sansevero”, estetici –  mi aveva assicurato. Gliene sono grata.

– Insieme al sorriso, il seno, adeguatamente sostenuto e supportato, è il meglio di me. –

Sorrido con civetteria, dicendoglielo.  Mi guarda. Non capisco se con stupore o compassione.

Forse non può immaginare che alla mia età sono tornata ragazza e ho voglia d’amore, anche fisico, e che mi sto di nuovo innamorando, e che di quel seno grande, morbido, liscio, ne ho bisogno più che mai.

    Comments:

  1. tea
    27 Novembre 2015 at 9:22 pm

    Un racconto che sei tu: leggera, ironica, coraggiosa… sempre positiva. Un racconto che si legge d’un fiato e ti rimane dentro a lungo. Perchè potevo essere io… perchè deduco che sia autobiografico (o magari mi sbaglio) ma è troppo vero.
    Un racconto che è un inno alla vita. Che ci frega dell’età, dei capelli bianchi, dell’artrosi… il tuo racconto mi mette voglia di abbracciare il mondo. Brava Giovanna!

  2. Celia
    2 Dicembre 2015 at 8:31 pm

    Fabuloso, emocionante, tierno… Una bella mujer tras las palabras. Bravissima.

  3. Licia
    5 Dicembre 2015 at 7:58 pm

    Grazie Giovanna, per la tua vitalità e positiva, travolgente, testarda femminilità

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