di Marta Traverso.

Posso confessarti un segreto? La risacca mi fa impazzire. Passerei ore a guardarla. Quel movimento leggero del pelo d’acqua sui sassolini, una manciata di centimetri avanti, una manciata indietro. Così uguale, scandita, ripetibile. L’aria entra ed esce dai nostri polmoni con lo stesso ritmo: per questo, respiro più volentieri vicino al mare. Come se l’aria, lì dove si fa più bagnata, la si potesse toccare. Nel resto del mio tempo, prendo a esempio quei pesci tanto cari a David Foster Wallace e chiedo in giro dov’è aria, cos’è aria.

Solo che, a differenza dei pesci, non ho branchie che respirino senza chiedermi il permesso. Ho due narici e una bocca, come te, e non saprei dire cosa colleghi una all’altra, finché una briciola di cracker scavalca l’epiglottide – che bel suono ha, epiglottide – e mi fa tossire, e per un attimo i miei apparati interni si confondono, mi disorientano.

Tutto questo centra abbastanza, con la scrittura. Ventisei lettere, una manciata di segni d’interpunzione, un numero indefinito di vuoti riempiti da uno spazio bianco: così uguali, scanditi, ripetibili.

Quella stessa risacca può incattivire tutt’a un tratto, si gonfia nel vento, si lascia sommergere da fiotti di schiuma senza un senso e riduce le spiagge a una crosta. Quella risacca è un raffreddore, il naso che perde il suo ritmo e alluviona un continuo starnutire. Nessuno mi aveva avvertita, prima di Elisabetta Marasco, che finché respiro con la bocca chiusa l’aria cattiva mi continuerà a circolare dentro. Come i momenti in cui l’idea per una storia c’è, e le parole per dirla, sta tutto lì, eppure.

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Esiste al mondo un essere più spaventoso di un foglio bianco? Nel mio primo Allenamento dello scrittore ne ho tenuto uno tra le mani, un paio di minuti, passato di mano in mano, quelle di Cesare Viel e delle compagne e compagni accanto a me. Il foglio bianco si è accasciato sulle mie ginocchia, è come con gli animali domestici, hanno più paura loro di te che tu di loro, ma non lo sai. Dopo qualche istante, ha preso a respirare al mio stesso ritmo, quello della risacca mentre non piove. Poco dopo, ma ancora non lo so, camminerò guidata dalle Augenblick con il passo lento della risacca. Si è addormentato, ora, e un foglio bianco che dorme fa meno paura. Potevo approfittare di lui a mio piacere: farne una pallina, coriandoli, un aeroplanino, o vomitargli addosso colpi di grafite che diventano poesia.

Invece no. La risacca era calma. Gli ho accarezzato i capelli, al foglio bianco. Uno dei gesti più intimi che esistano. Quante persone, tra quelle che conosci, ti concedono di accarezzare loro i capelli? Io l’ho fatto, erano castani, cortissimi, non lavati da un po’. Erano i capelli di un personaggio che non avevo mai visto prima. Se non avessi respirato in quel modo, non lo avrei visto mai. Ho fatto piano, per non svegliarlo. Ho respirato ancora, e quel foglio è diventato lui, senza darmi il tempo di accorgermene. Quando l’ho lasciato andare, ha sollevato un ciuffo di aria.

Maggiori informazioni su L’Allenamento dello Scrittore!

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